27 Luglio 2024

Lo scoppio del nuovo conflitto israelo palestinese non può non indurre a riflessioni sugli sviluppi di questa tragedia umana e politica. Io non sono un militare e quindi, formalmente, non sarei in grado di immaginare scenari e formulare ipotesi di intervento per condurre ad una qualche soluzione di questo conflitto, ma mi pare anche che le strategie sin qui adottate da tutti gli ESPERTI militari nelle varie guerre che si sono succeduto sullo scacchiere mondiale siano state fallimentari, ciò che mi fa dire che, forse, gli schemi mentali dei militari siano da mettere in soffitta, di fronte alle nuove modalità di sviluppo dei conflitti nella nostra epoca. Perciò dirò la mia, per quel che vale.

I termini del problema:

1. Gaza è una piccola striscia di territorio affacciata sul Mediterraneo, popolata da poco più di due milioni di abitanti.

2. Il territorio è controllato da Hamas, una organizzazione terroristica palestinese storica, ormai, che ha come obiettivo la distruzione di Israele.

3. Credo sia quasi impossibile distinguere tra militanti di Hamas e non, all’interno di questo territorio.

4. I militari palestinesi di Gaza, cioè la parte armata della popolazione, ha mostrato di disporre di riserve belliche non trascurabili, scaricando su Israele una quantità inverosimile di ordigni, che vien da chiedersi COME abbiano potuto raggiungere quel territorio senza che Israele se ne rendesse conto.

5. I militari palestinesi hanno attrezzato il territorio urbano con bunker sotterranei, gallerie protette dagli attacchi dal cielo, presumibilmente ben rifornite di armi e viveri per poter sopravvivere sotto terra.

6. I bombardamenti di Gaza dal cielo possono distruggere le infrastrutture civili e causare molti morti, ma non possono espellere i terroristi dai loro rifugi, quindi sono inutili.

7. La guerra per le strade avrebbe un prezzo elevatissimo in vite umane israeliane, oltre che palestinesi, se condotta con metodi convenzionali, e tempi di esecuzione lunghissimi.

8. Mentre sto scrivendo siamo nella fase iniziale della reazione israeliana, che ha circondato militarmente da terra il territorio di Gaza, isolandolo, anche per impedire nuove incursioni verso il territorio israeliano.

Cosa è possibile fare?

La parola “possibile” va intesa in chiave di immaginazione: non è detto che sia concretamente praticabile, perché questo dipende anche da molte altre cose, e non dispongo di informazioni idonee a confermare la fattibilità.

Gli obiettivi

1. Stanare i combattenti di Hamas, uno ad uno, ed eliminarli fisicamente.

La guerra va vista per quello che è, una cosa feroce, e fare prigionieri non impedisce lo spargimento di sangue di tutti gli altri che vengono coinvolti: il sangue ha sempre lo stesso colore …

2. Ridurre per quanto possibile lo spargimento di sangue nella popolazione passiva, che ha subito e subisce Hamas, incapace di reagire. La difficoltà è distinguere tra fiancheggiatori disarmati di Hamas ed oppositori silenti. Una volta eliminati i combattenti attuali di Hamas, i fiancheggiatori li sostituiranno appena possibile.

3. Concludere tutte le operazioni nel più breve tempo possibile: il tempo lavora per Hamas in chiave di allargamento del conflitto con la partecipazione di altri soggetti esterni.

4. Dando per scontato che anche un esito positivo del conflitto non cancellerà il problema palestinese, ridurre i fronti possibili di prossimi conflitti, partendo dalla depalestinizzazione della striscia di Gaza, incorporando questo territorio nello stato di Israele e costringendo la popolazione a trasferirsi altrove nei paesi arabi, anche con aiuti economici.

Come raggiungere gli obiettivi

Ovviamente si tratta di obiettivi molto difficili da raggiungere, ma qualsiasi soluzione parziale sarebbe soltanto il preludio di prossimi conflitti.

1. Vanno resi inagibili i bunker sotterranei nella striscia di Gaza, supponendo che il Mossad sappia almeno dove sono dislocati e quali siano le vie di accesso.
Come farlo? Facendo confluire nei bunker qualcosa che impedisca la sopravvivenza nei medesimi, producendo l’espulsione dei suoi occupanti.

a) Mediante iniezione di gas, non necessariamente da “guerra chimica”, quindi senza obiettivi letali immediati, ma banalmente fumo nero, gas combusti ad elevato contenuto di CO2 e di CO, che producano soffocamento, anche qualche decesso e costringano gli occupanti alla fuga.

b) Allagamento delle gallerie, pompando acqua di mare con idrovore (se disponibili) in modo da costringere gli occupanti ad emergere in superficie.

I bunker sotterranei sono un’ottima difesa antiaerea, ma sono anche trappole per topi, e non so se Hamas abbia tenuto conto di questa doppia faccia della medaglia, contando soltanto sulla classica guerra con bombardamenti dal cielo. Le azioni descritte in a) e b) possono anche essere condotte simultaneamente.
I fuggitivi che escono dai bunker vanno catturati, se possibile, ma solo per fargli rivelare informazioni militari importanti, e poi giustiziati con processo sommario come terroristi, non come soldati di un esercito regolare di uno stato sovrano.

2. Risparmiare al massimo la popolazione inerme è ancora più difficile, perché i militanti armati saranno mescolati alla popolazione. Una caccia al terrorista casa per casa mi pare un’operazione di enorme difficoltà, lunga esecuzione e non priva di perdite umane da entrambe le parti. Io credo che si possa e si debba indurre quella parte della popolazione che non vuole farsi massacrare ad abbandonare le case spontaneamente, consegnandosi alle forze israeliane, con garanzie di salvezza diversamente non garantibili. Serve un bombardamento informativo massiccio, mediante volantinaggio dall’alto, in lingua araba, ed attraverso ogni altra fonte d’informazione che possa raggiungere la popolazione.
La proposta israeliana dovrebbe offrire ai fuggitivi dei canali di evacuazione dalla striscia di Gaza, militarmente controllati, e la prospettiva di un trasferimento provvisorio in campi profughi a ridosso del confine con la Cisgiordania, in attesa di trasferimento in altri paesi arabi disposti ad accoglierli, con un apporto economico volto a facilitare il loro futuro reinsediamento, anche con la collaborazione economica dell’Occidente. E’ chiaro infatti, a questo punto, che la prospettiva di uno stato palestinese indipendente nella striscia di Gaza NON esiste, e non è mai esistita.
Poco importa di chi sia colpa: vince la realtà delle cose.

3. La rapidità d’intervento e di conclusione delle operazioni è subordinata all’efficacia delle operazioni sopra immaginate, o di altre forme di intervento altrettanto efficaci. La produttività degli interventi va misurata sul campo, e se questi non si dimostrano rapidamente risolutivi, vanno abbandonati a favore di altri interventi.

4. L’espulsione dei palestinesi dalla striscia di Gaza prevede tre fasi:

a) L’emersione dei combattenti attuali di Hamas dalle loro tane, e la loro conseguente eliminazione.

b) L’evacuazione della popolazione che vuole avere salva la vita e ricostruirsi in qualche modo un futuro diverso altrove.

c) Il rastrellamento degli insediamenti urbani per eliminare uno ad uno gli irriducibili di Hamas rimasti sul territorio.

Per fare questo, la soluzione meno sanguinosa non è certo quella di esplorare con le armi in pugno ogni abitazione, ma di sigillare le abitazioni, impedendo a chiunque di poter entrare o uscire, salvo buttarsi dalla finestra e morire così, interrompendo l’erogazione di acqua agli stabili, e quindi costringendo gli occupanti alla resa per sete, più rapida di quella per fame. Durante le operazioni di sigillatura degli stabili questi vanno sorvolati da elicotteri per individuare ed eliminare eventuali cecchini. Una volta desertificato il territorio, questo va gradualmente riconvertito, con presidio militare permanente, ed incorporato nel territorio di Israele una volta per sempre.

Tutto questo è TERRIBILE, ma è il frutto avvelenato dell’odio religioso irrazionale coltivato per decenni, il cui esito non poteva che essere ferocemente drammatico.

Ing. Franco Puglia – 10 ottobre 2023

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