19 Marzo 2024

LEZIONI DI ECONOMIA ELEMENTARE

Per chi pensa che l’economia sia mettere le monetine nel salvadanaio, per chi crede che i soldi siano una merce, per chi non ha proprio le basi minime del funzionamento di questa COSA che non sarà una scienza, ma non è neppure biada per capre.

  • I SOLDI
  • VALUTE, RAPPORTI DI CAMBIO E SVALUTAZIONI
  • IL SISTEMA BANCARIO
  • AZIONI, OBBLIGAZIONI, BUONI DEL TESORO, TITOLI DERIVATI
  • LE TASSE
  • SPESA PUBBLICA, DEFICIT E PIL

Non è facile cercare di riassumere in poche parole, quelle che il lettore medio riesce a sopportare, un insieme di nozioni sulle quali si sono scritti interi volumi.
Ed è questo il guaio : quei volumi non li legge nessuno, forse neppure quelli che dovrebbero …
Da dove iniziare ? Proviamo dai soldi …

I SOLDI

All’inizio della Storia umana non esistevano. Ogni essere umano si procurava con le sue stesse mani quanto gli serviva, essenzialmente cibo, fabbricando, sempre con le sue mani, qualche attrezzo elementare che lo aiutasse ad uccidere le prede, a scuoiarle, a rivestirsi con la loro pelle.
Mano a mano che i gruppi umani si sviluppavano, cominciarono a dividersi il lavoro : tu fabbrichi archi, io fabbrico frecce, e cominciarono a scambiarsi gli oggetti, archi, frecce, ….. ecc
In che modo? Negoziando. Tante frecce in cambio di tanti archi. E non sempre ci si metteva d’accordo. Perché? Perché la percezione del VALORE di chi produce le frecce è diversa da quella di chi produce gli archi. Dieci frecce per un arco, dice il produttore di frecce; no, venti, dice il produttore di archi.
Era il baratto. Ma quanto valeva una freccia, o un arco ? Chi lo sa ! Non esisteva un modo univoco per assegnare un valore alle cose. Il solo modo possibile era il valore di scambio, quanto dell’uno per quanto dell’altro. Quando le cose da scambiare divennero molte il baratto divenne estremamente complicato : serviva una merce di riferimento, e venne trovato l’oro.

Questo metallo aveva dei pregi : era incorruttibile (non si ossida) ed era SCARSO in natura.
La scarsità dà VALORE alle cose. L’erba, lontano dalle zone desertiche, è tanta, ed ha poco valore.
La sabbia, nei deserti, è infinita, e non ha alcun valore.
La scarsità dell’oro lo trasformò in MONETA ! Le monete antiche non avevano più o meno valore in funzione dell’effige imperiale su queste impressa, ma solo in funzione del loro PESO in oro.
Certo, non bastava. Erano di oro puro? O leghe di oro e rame? E chi lo sa …
Ci voleva una Garanzia : quella di una ZECCA, cioè di un ente credibile, di STATO, che coniasse quelle monete in ORO “zecchino”.
Ma ogni moneta d’oro valeva MOLTO (scarsità) e quindi era poco idonea agli scambi economici di merci di poco valore (cioè non così scarse). Fu così che vennero coniate anche monete di altri metalli, come il bronzo. Il bronzo non valeva molto, ma se le monete erano coniate dalla ZECCA di Stato, e solo da questa, restavano relativamente “scarse” e rigidamente collegate al valore della moneta aurea. 20 monete di bronzo per una d’oro, ad esempio.

Con l’avvento della produzione di carta e poi della stampa, il passaggio da moneta a banconota diventa automatico. Ma COSA attestava il valore di quelle monete bronzee o cartacee ?
La loro convertibilità in oro: 20 monete di bronzo per una d’oro.
In teoria, e qualche volta anche in pratica, chi possedeva abbastanza monete di bronzo poteva convertirle in un numero inferiore di monete d’oro. Questa convertibilità durò a lungo, sino a quando il presidente statunitense Richard Nixon, il 15 agosto 1971, annunciò a Camp David la sospensione della convertibilità del dollaro in oro. Già, perché i soldi non bastano mai, specie quando si fanno le guerre, e l’oro, come già detto è SCARSO. Da allora “stampare soldi” è diventato un hobby statale molto diffuso.
PRIMA, ad ogni Dollaro stampato doveva corrispondere una precisa quantità di ORO.
Così per tutte le altre valute. Ora non più, e l’oro è tornato ad essere una merce.

Ed ecco IL PROBLEMA : gli scambi delle origini erano facilitati da un riferimento CERTO di valore : l’ORO, che grazie alla sua scarsità era un valore di riferimento stabile. Le valute moderne, invece, hanno un valore variabile, manipolabile, slegato dalla scarsità, visto che la disponibilità mondiale di denaro è immensa, e visto che si possono produrre, volendo, in quantità illimitata. Questa assenza di riferimenti certi confonde le idee alle persone. I soldi, siano essi banconote fisiche o CREDITO su un CC bancario, vengono visti come se fossero una merce, e non un semplice tramite per gli scambi. Prima di quel fatidico 15 Agosto 1971 ogni banconota rappresentava una “cambiale” dello Stato, un “pagherò” in oro zecchino, a vista, dietro semplice presentazione alla Banca. Oggi le banche non hanno in CASSA neppure l’intero importo dei versamenti dei correntisti ! La nozione di denaro è distorta, ma sono ancora SOLDI, quelli senza i quali non puoi comprare nulla, non puoi sopravvivere.

Ciò che però HA VALORE, sia nell’età della pietra, che oggi, non sono i soldi, cioè gli strumenti adottati per facilitare gli scambi, ma gli scambi stessi, cioè le merci o servizi che gli esseri umani si scambiano. Non è cambiato nulla nei millenni : il produttore di frecce vuole 10 $ per ogni freccia che produce e pensa che un arco non debba costare più di 100 $ ; il produttore di archi pensa che il suo arco valga 200 $ se una freccia ne deve costare 10 … Certo che se il produttore di frecce si accontentasse di 5 $ a freccia, forse anche lui potrebbe cedere il suo arco per 100 $ … ma il produttore di frecce è ostinato …
Si può ben capire che qui il problema non è che la valuta usata per lo scambio sia il $ oppure una diversa valuta : il problema è che il produttore di archi è disposto a cederlo solo in cambio di 20 frecce, non di 10. E’ il rapporto di valore che conta. L’arco e la freccia, in sé, non hanno alcun valore assoluto. Come risolvere il problema ? Un modo frequente è cercare di truccare le carte in tavola : il produttore di frecce produce in un paese con una valuta collegata al $ : supponiamo Pesos. 1 $ = 1 Peso.

Da domani il Governo stabilisce che 1 $ = 2 Pesos. Il prezzo delle frecce era di 10 Pesos = 10 $.
Ma col nuovo cambio 10 Pesos sono 5 $. Il produttore di archi (in un altro paese) ha risolto : può scambiare il suo arco, che vale per lui 20 frecce, con 200 Pesos, cioè 100 $. Il produttore di frecce dovrebbe essere contento : un arco per i 100 $ che lui voleva pagare, ma poi scopre che per 100 $ deve produrre 20 frecce, non solo 10. Eppure la sua valuta adesso è più competitiva !
La svalutazione non lo ha aiutato a stabilire un diverso rapporto di scambio, nonostante il fatto che il produttore di archi gli sia venuto incontro, dimezzando il prezzo iniziale, da 200 a 100 $.
Se il produttore di archi avesse mantenuto il suo prezzo, di frecce ce ne volevano 40 …
Davvero un bell’affare la svalutazione …
Tutto questo dovrebbe far capire come siano privi di fondamento tutti i discorsi sulle valute sovrane, sul valore di cambio competitivo, ecc, ecc. Ciò che conta è il valore di SCAMBIO attribuito alle merci, realizzato con il tramite di una valuta, una qualsiasi.

VALUTE, RAPPORTI DI CAMBIO E SVALUTAZIONI

In questo mondo di SOLDI si usano le VALUTE, più o meno una per ogni organizzazione statale.
Sono anche chiamate monete “sovrane”, perché in passato erano emesse dal Sovrano, cioè comunque dallo Stato, in una forma o nell’altra. Unica eccezione l’€, che è moneta condivisa da più stati, ma anche il $, tutto sommato, è una moneta condivisa tra più stati, se è vero che gli USA sono “Stati Uniti” d’America. Sappiamo che ogni valuta ha un diverso valore rispetto all’altra : diciamo che c’è un rapporto di cambio. Oggi 1 € vale 1,07 $, ed ha toccato il valore di 1,5 $ per ogni €.
Quindi l’€ si è “svalutato” rispetto al $, oppure, viceversa, il $ si è rivalutato rispetto all’€.

Come e perché ? Cosa significa?

Parlando dei soldi abbiamo detto che una valuta vale l’altra e che ciò che conta è il “rapporto di scambio” tra le merci. Poiché, però, le merci da scambiare sono infinite, è impossibile stabilire un rapporto di scambio se non passando attraverso uno strumento di tramite come le valute.
Per effettuare delle transazioni economiche non importa quale sia la valuta : le parti in gioco stabiliscono la valuta di scambio e negoziano sulla base di quella. Si possono usare, in ambito internazionale, le valute che si preferisce, più spesso Dollari. Il prezzo in quella valuta è il risultato dell’incontro tra la domanda del bene e la sua offerta. Cambiando valuta, cambia il numero che, in quella valuta, esprime il medesimo prezzo. Se la Germania quota un macchinario in $ alla Cina, visto che il $ NON è la moneta della Germania, e neppure quella della Cina, la sola cosa che interviene nella transazione economica è il valore attribuito dalle parti a quel bene, espresso in Dollari, e dando al Dollaro un potere d’acquisto su base locale, tedesca e cinese, che le parti giudicano liberamente. In questa transazione non sono intervenuti l’€ o il Renminbi cinese. Tuttavia sia la Germania che la Cina usano, al loro interno, per gli scambi interni, i pagamenti della spesa pubblica, degli stipendi, le tasse, ecc una diversa valuta locale. Perché ? Non basterebbe usare il $ o qualsiasi altra moneta comoda per gli scambi internazionali ?

Le ragioni, neppure mai, volutamente, chiarite e rese trasparenti hanno a che vedere con l’esercizio del Potere Statale sui suoi cittadini, manovrando una LEVA importante : la valuta locale.
Equivale a dire : io Stato decido che valore avranno i redditi dei miei cittadini, sovrapponendomi alla loro libera scelta. Infatti manovrando la leva valutaria, lo Stato può alterare il potere d’acquisto, e quindi il valore, della valuta locale, agendo su alcuni elementi che la caratterizzano.
Significa che il fabbricante di frecce che vuole 100 $ in cambio di 10 frecce viene costretto a ridimensionare i suoi desiderata, perché il prezzo di 10 Pesos per freccia, uguale a 10 $ per freccia viene svalutato dallo Stato. Il prezzo resta 10 Pesos per freccia, ma 10 Pesos adesso corrispondono a 5 $, non più a 10 $, e quindi il potere d’acquisto del produttore è dimezzato.
Lui rimedia subito : raddoppia il prezzo ; 20 Pesos per freccia = 10 $.

Ma non tutti possono comportarsi così. Chi vive di stipendio, lavoratori dipendenti del settore privato come del settore pubblico, non possono raddoppiarsi lo stipendio. Il loro costo del lavoro viene dimezzato, e così il loro potere d’acquisto nei confronti di qualsiasi merce estera, ma anche nei confronti del produttore di frecce, che ha portato il prezzo a 20 Pesos. Certo, non tutti i produttori possono raddoppiare subito i prezzi, ma poco alla volta lo fanno, cercano di recuperare quel valore di scambio che loro attribuiscono alla loro produzione. Una volta recuperato, loro sono FORSE nella condizione di prima ; i lavoratori no. FORSE, perché se il potere d’acquisto dei lavoratori è sceso, anche i produttori venderanno di meno, e quindi c’è una perdita secca per tutti.

Un altro effetto della svalutazione monetaria è quello di svalutare i patrimoni liquidi.
Se un correntista aveva 100’000 Pesos sul suo CC, equivalenti a 100’000 $, dopo la svalutazione ha sempre 100’000 Pesos, ma al cambio in $ sono solo 50’000 $. Tutte le merci di importazione costano il doppio. Non solo : visto che i produttori locali cercano di recuperare il loro potere di acquisto mirando al raddoppio dei prezzi, il risultato nel breve-medio termine è che quel patrimoni ha perso il 50% del suo potere d’acquisto: è dimezzato.
Attenzione : la SVALUTAZIONE decisa dallo Stato è un furto. Infatti il valore precedente la svalutazione rappresentava il corrispettivo di un valore REALE (10’000 frecce).
Dopo svalutazione con quel capitale si potranno acquistare solo 5000 frecce.
Il peggio è che la differenza di valore non si trova neppure nelle tasche dello stato ! Se la cerchi non c’è; il ladro non ha più la refurtiva. Infatti quel VALORE, frutto di attività economica, si è in parte dissolto nel nulla, o almeno così sembra.
Così SEMBRA …. Infatti dobbiamo chiederci come sia stato possibile “svalutare” la moneta locale, ed anche “perché” lo si sia voluto e potuto fare.
Una moneta locale, “sovrana”, perde valore per precisi motivi :

  • troppa abbondanza ; se la moneta è “sovrana”, cioè può venire stampata dallo Stato, questo può pagare una parte delle sue spese, di personale pubblico e non, STAMPANDO valuta che prima non c’era. Insomma, invece di usare i soldi delle tasse, stampa della valuta. Lo fa perché i soldi delle tasse non gli bastano. Infatti ci sono solo tre scelte possibili per lo Stato :
    – usare le tasse per raccogliere soldi
    – stampare carta moneta
    – indebitarsi
    In genere gli stati fanno tutte e tre le cose, in rapporti variabili : tassano, stampano soldi e si indebitano.
  • Usare le tasse, E BASTA, per raccogliere soldi, non cambia il valore della moneta: questa viene soltanto redistribuita, tra i dipendenti pubblici ed i fornitori dello Stato.
  • Stampare carta moneta in apparenza non toglie soldi ai produttori di valore, permette di pagare i dipendenti pubblici ed anche i fornitori pubblici. Ma con CHE COSA ? Con dei soldi che NON VALGONO NULLA, perché sono FALSI, in quanto non corrispondono a ricchezza prodotta.
    Però, siccome sono indistinguibili da quelli veri, diventano veri, emessi dallo Stato, e compensano le transazioni economiche. Ma cosa accade ? Ne circolano di più.
    Tanta gente che in assenza di quei soldi non avrebbe potuto comperare merci, ha i soldi per comperarle. Questo stimola la domanda di merci, e la loro produzione.
    La maggiore facilità di acquisto, cioè lo stimolo della domanda in assenza di un corrispettivo di valore prodotto, produce la cosiddetta INFLAZIONE ! Infatti i produttori, in genere, non hanno interesse a produrre di più, ma a guadagnare di più, a parità di produzione.
    Produrre di più è UNO SFORZO per il produttore, richiede suoi investimenti, assunzioni di personale, maggiori costi, ecc. Perché mai farlo ? La domanda preme ; sarà disposta a pagare di più quello che vuole. Il processo inflattivo, con aumento dei prezzi, si propaga rapidamente a tutti i prodotti, perché ogni produttore vuole recuperare il suo potere d’acquisto. 
    Quando TUTTI i prezzi salgono è come dire che il valore della valuta scende. Il rapporto di cambio di quella valuta rispetto ad altre valute ne risente. Il prezzo delle merci, espresso in una diversa valuta, può anche non cambiare: infatti quella valuta ha conservato la sua relativa “scarsità” , almeno in rapporto alla valuta locale.
    Una possibile obiezione è : se il produttore non fosse AVIDO risponderebbe ad una domanda crescente con una offerta crescente di merce, a prezzo costante.Certo, se il produttore non fosse umano, se produrre equivalesse a schiacciare un pulsante e la merce cominciasse a scorrere come l’acqua … Ma così non è, né potrà mai essere.
    E se anche i produttori fossero così GENEROSI, significherebbe che ALTRI, semplicemente stampando carta moneta, potrebbero acquistare qualsiasi cosa dai produttori GENEROSI, in quantità illimitata. Ma i produttori perché mai dovrebbero farlo, lavorando, invece di passare anche loro dalla parte dei “compratori facili” che si stampano i soldi a piacere ?
  • Indebitarsi : le tasse non bastano, non si vuole stampare carta moneta, o non si vuole stamparne troppa, ed allora si chiedono soldi in prestito. Nessuno presta soldi per niente : lo fa per un “interesse”, cioè un premio che il debitore paga al creditore, su base periodica, sino al rimborso del debito, Premio espresso come percentuale annua del valore prestato.
    Quanto? Dipende dal RISCHIO ! Se il debitore è un cattivo pagatore, è già indebitato sino al collo, non produce valore, cioè ha difficoltà a procurarsi soldi guadagnati, restituirà il debito a scadenza oppure no? Il rischio ha un suo prezzo. Se il rischio è basso, il creditore si può accontentare di un premio basso, ma se il rischio è alto … Il debito di uno Stato, se è molto elevato, aumenta il rischio di insolvenza del debitore, che è costretto a fare sempre nuovi debiti anche per pagare gli interessi crescenti sul debito pregresso. Più aumenta il debito, meno affidabile diventa il debitore, più aumentano gli interessi, in una spirale senza fine. Grecia insegna, ma non solo.
    Quanto vale la moneta di uno stato molto indebitato? Sempre meno. Infatti il valore che quella moneta esprime è sempre meno idoneo a far sperare che il debito possa essere saldato.
    La valuta locale perde terreno, si svaluta, e svalutandosi stimola l’inflazione interna, perché i produttori cercano di recuperare potere d’acquisto espresso in quella valuta.
    Alla fine il paese si avvita e fallisce, gettando sul lastrico la sua intera popolazione.

IL SISTEMA BANCARIO

Negli ultimi anni non gode di molte simpatie. Però delle banche è difficile fare a meno.
Ma che FUNZIONI hanno, o dovrebbero avere ? Essenzialmente due :
a) Custodire i valori di risparmiatori
b) Prestare soldi a chi ne ha bisogno, a fronte del pagamento di un interesse.
Nel corso del tempo la struttura interna delle banche ed il modo in cui gestiscono i valori “depositati” è cambiata parecchio.
La funzione a) è quella primigenia : custodire in CASSAFORTE per proteggere dai furti, più facili nelle abitazioni private. La seconda deriva dalla prima : disponendo di valori depositati, li presta a terzi, avendo un implicito assenso dei depositanti, i quali, a fronte della custodia, non solo avevano la SICUREZZA dalle aggressioni ma anche un INTERESSE attivo, pagato dalla banca ai depositanti. Il pagamento di questo “interesse” ha infatti finito col configurare il deposito come un prestito, invece. Infatti il “deposito” dovrebbe rappresentare un costo per il depositante, non una rendita. La rendita caratterizza i prestiti, e nei fatti i depositi sono diventati tali : prestiti alle banche.

Peccato che negli ultimi anni l’interesse a fronte di questi prestiti si sia AZZERATO.
Le banche si fanno prestare i soldi in cambio di nulla, salvo la custodia. E con l’interesse a zero sopravvivono invece i COSTI di tenuta del CONTO per il cliente della Banca. Quindi il cliente paga il deposito, come se fosse veramente tale, ma non lo è, perché le banche non sono più tenute a disporre, pronta cassa, del 100% del valore dei depositi, ma soltanto di una percentuale minima, la cosiddetta RISERVA FRAZIONARIA.

Quello della riserva frazionaria è un problema non da poco : significa che se io presto ad una banca 1000 € (cioè li deposito sul mi CC) la banca conserverà in “cassaforte” soltanto una frazione di quei 1000 €, perché il resto li potrà investire come meglio crede, cosa NORMALE, se è vero che si tratta di un PRESTITO, ma è un prestito che, contrariamente ai prestiti in genere, come i Buoni del Tesoro ed le Obbligazioni in genere, NON ha scadenza ! Io verso OGGI e potrei voler ritirare tutto DOMANI. Si può fare, ma a condizione che non lo facciano TUTTI al medesimo momento, perché i soldi NON CI SONO, perché sono stati prestati ad altri, investiti.
Questo meccanismo, se la riserva frazionaria fosse consistente, sarebbe legittimo ed anche strutturale all’esistenza stessa della banca, perché se la banca non presta i soldi dei depositanti, quali soldi dovrebbe mai prestare ? Una VERA banca dovrebbe disporre dei soli soldi dei depositanti, non di importanti risorse proprie, perché la sua funzione dovrebbe essere quella di custodia e poi di prestito di quei valori custoditi, a fronte di un interesse creditore che dovrebbe remunerare i depositanti, che hanno prestato i loro soldi. Niente di tutto questo.

La riserva frazionaria è trascurabile, e le banche usano i soldi dei depositi per prestare secondo i propri criteri, spesso criteri politicamente influenzati, come ha dimostrato la vicenda di MPS. Ed oltre ai prestiti, la banca fa anche TRADING per conto suo, con compra-vendita di titoli sul mercato, BTP in primo luogo. Ma non solo : anche titoli DERIVATI, pericolosissimi. In pratica la banca è diventata col tempo una azienda finanziaria, che riceve soldi dai cittadini in cambio di nulla che non sia la custodia ed i servizi di pagamento. Con questi soldi la banca opera come un commerciante di valori finanziari, e guadagna o perde soldi, secondo l’andamento del mercato, e la capacità dei suoi operatori.
Quindi il cittadino PRESTA SOLDI a delle aziende, anche molti soldi, in cambio di poco, ma non esiste una diversa alternativa, salvo tenere banconote nel materasso, ed oggi neppure quello, perchè i pagamenti di grosse somme NON possono, per legge, essere fatti in contanti.

In sostanza i rapporti tra cittadini e banche sono diventati meri rapporti di debito/credito, con il cittadino correntista “creditore” nei confronti della banca, e qualche volta “debitore” se si fa prestare lui dei soldi dalla banca. Il contante in un sistema così concepito è sempre meno rilevante, sempre meno impiegato, se non per piccoli pagamenti e quando si voglia rendere NON TRASPARENTE un pagamento, visto che passando dal canale bancario tutti i pagamenti sono tracciati.

La banca è un operatore RISCHIOSO, come recenti fallimenti e salvataggi di banche ci hanno mostrato. Ci sono autorità di vigilanza che impongono alle banche REGOLE di funzionamento e garanzie di correttezza e solvibilità dei loro bilanci, ma a conti fatti questi controllori controllano poco, o sono conniventi.
Da più parti quindi si levano voci che chiedono un ritorno al vecchio sistema delle “banche commerciali” separate dalle “finanziarie”. Significa riportare alcune banche al loro ruolo primigenio di salvadanai e prestatori prudenti, azzerando o quasi i rischi di insolvenza, lasciando ad altre entità specializzate il gioco di compra-vendita di titoli finanziari, più o meno rischiosi.
In questo modo i cittadini con bassa propensione al rischio userebbero soltanto le “banche commerciali” mentre gli altri potrebbero investire i loro soldi attraverso le finanziarie specializzate.
Vale la pena di menzionare che il sistema è opaco in quanto le maggiori banche hanno confinato le attività puramente finanziarie in altri soggetti giuridici, di cui però detengono il capitale di controllo, se non il 100%, per cui se quei soggetti vanno nei guai, anche la banca MADRE va nei guai. Su tutto questo giro di soldi il cittadino consumatore ha un controllo pari a zero.

AZIONI, OBBLIGAZIONI, BUONI DEL TESORO, TITOLI DERIVATI

E’ il grande mondo della FINANZA. Non produce NULLA che sia materiale, che si possa mangiare, indossare, abitare, ecc, ecc. Muove i SOLDI.
Muovere i soldi NON vuol dire PRODURRE soldi ! Eppure in finanza c’è chi guadagna cifre da capogiro. Si tratta però di soldi che qualcuno ha perduto, e qualcun altro ha guadagnato.
Qualcuno potrebbe dire : non è vero ; se il valore di una azione sale, chi la possiede “guadagna soldi”. No. “Potrebbe” guadagnare soldi, ma lo saprà nel momento in cui vende quelle azioni, il cui valore di mercato non è mai costante. Sino a quando non lo fa è un guadagno “atteso”, non intascato.
Ma supponiamo che abbia acquistato un “titolo” (azioni, obbligazioni, BTP, ecc) a 100 e lo rivenda a 120. Ha guadagnato 20. Questo è vero. E chi ha comprato quel titolo a 120 ? Magari lo rivenderà in futuro a 140, e guadagnerà 20 anche lui. Ed il nuovo acquirente ?
Il meccanismo non fa mai crescere il valore all’infinito : prima o poi il valore scende, e l’ultimo acquirente perde i soldi che altri hanno guadagnato.
In un dato arco di tempo la partita potrebbe non essere alla pari : voglio dire che i guadagni di quanti hanno guadagnato non pareggiano necessariamente le perdite di quanti hanno perduto soldi.
Qui gioca il fattore tempo: chi guadagna lo fa grazie ad una scelta di tempo giusta, sulla pelle di chi invece sbaglia la scelta di tempo.

Ma supponiamo che dopo X anni il saldo sia positivo : le somme guadagnate superano le somme perdute. Vuol dire che i titoli X valgono più di quanto valevano all’inizio del periodo di osservazione.
Prima osservazione : sino a quando quei titoli sono nel possesso di qualcuno, non sono ancora un guadagno, ma un potenziale guadagno, che si realizza soltanto al momento della vendita.
Supponiamo che il loro valore resti costante nel tempo, da allora in poi.
L’ultimo acquirente non guadagna nulla ma ha trasferito soldi nelle tasche del venditore, incluso il suo guadagno. Come si vede c’è stato un trasferimento di soldi, non la CREAZIONE di nuovi soldi.
Seconda osservazione, relativa alle sole AZIONI : il loro valore rappresenta il valore di mercato dell’azienda, secondo i potenziali acquirenti. Non è esattamente la stess acosa del capitare sociale di una SRL, che sono SOLDI, non azioni. Una SRL ha un capitale sociale, poniamo, di 100’000 €, che tale è, e resta, se non viene intaccato. In una SPA con un capitale azionario di 100’000 € , questa cifra è suddivisa tra più soci, detentori di AZIONI, che possono essere QUOTATE SUL MERCATO, cioè liberamente vendibili ed acquistabili in BORSA. Possono esserci cittadini che offrono soldi per quelle azioni, per acquistarle, e questo fa salire il loro valore unitario.

Può accadere che, alla fine, quelle azioni passino di mano, e che il loro valore di mercato arrivi a 200’000 €. Quei 100’000 in più sono forse “entrati in azienda” ? Neanche per idea. Il mercato azionario ha CREATO dal nulla 100’000 € in più in circolazione? NO. Il valore di quelle azioni è un valore attributo ai titoli di proprietà di quell’azienda. Se arrivasse un investitore che le comprasse tutte, lui sborserebbe 200’000 € che andrebbero a compensare lautamente gli azionisti, a spese sue !!

Non sono stati creati nuovi soldi !!!

Quando si dice che il mercato ha bruciato miliardi a causa del crollo di alcuni titoli azionari, è una balla colossale, perché non è cambiata la liquidità valutaria, ma sono solo stati spostati dei soldi da un azionista all’altro, da chi deteneva le azioni al valore ipotetico di 200 e le ha vendute a 100, dopo averle magari pagate 80, quando le ha acquistate.

Questo con le azioni. Le obbligazioni altro non sono che un debito a scadenza fissa , remunerato con un interesse, mediante cedole a scadenza fissa. Si tratta di debito “negoziabili”, cioè cedibili come se fossero una merce. Il loro valore di mercato, che in genere parte da 100, può scendere (98, 95, …) o crescere (102, 105, …) in funzione della loro redditività (interesse fisso) determinata all’atto dell’emissione.
Se la redditività corrente di altri titoli sale, il loro valore di mercato scende (altri titoli sono più appetibili perché rendono di più), mentre se scende il loro valore di mercato sale (rendono meglio di quelli attuali). Quando un titolo si avvicina a scadenza, il suo valore tende a 100, perché il debitore, a scadenza, restituirà 100, non 95 o 105.

I Buoni del Tesoro altro non sono che obbligazioni emesse dallo Stato, cioè dal Ministero del Tesoro. Sono analoghi a tutte le altre obbligazioni, con la garanzia dello Stato che, in teoria, non può fallire come una azienda, però …. Una cosa da notare è che i titoli sono “denominati” in una precisa valuta, che può essere quella nazionale, oppure no. Se cambia il valore di quella valuta sul mercato valutario, il detentore dei titoli perde o guadagna per cambio, se vende quei titoli.

E poi c’è il mondo dei DERIVATI ! In pratica si tratta di SCOMMESSE che vengono comprate e vendute come se fossero merce. Si può scommettere su qualsiasi cosa : indici di borsa, andamento del valore delle materie prime, ecc, ecc. Queste scommesse sono complesse, perché dotate di un effetto LEVA che consente di guadagnare molto, se la scommessa viene vinta, di perdere molto, se la scommessa viene perduta. I meccanismi sono spesso complicati, oscuri, e possono ingannare l’investitore inesperto. Il loro uso da parte delle banche, non solo come titoli proposti ai loro clienti, ma anche come scommesse dirette, altera la lettura dei loro bilanci dove i valori dei diversi investimenti vengono accreditati come se fossero soldi liquidi, cosa che non sono, così anche i bilanci bancari diventano, in parte, scommesse, che a volte si perdono …
Ma anche qui, non viene creato alcun valore, ma solo spostato da un investitore all’altro, unitamente al fatto che alcuni valori bancari (capitalizzazione) sono alterati dal possesso di valori di titoli molto labili, che non sono SOLDI, ma previsioni di incasso di soldi.

LE TASSE

Le TASSE sono il tormentone dei cittadini. Nessuno ama pagarle, eppure non si può farne a meno, salvo vivere di pesca in un’isola deserta. Tuttavia i sistemi fiscali sono innumerevoli, come lo è il loro peso sulle tasche dei cittadini. Tralasciamo la distinzione tra TASSE ed IMPOSTE che trovo irrilevante.
Vediamo invece :

  • Perché le tasse
  • Tasse su CHI e che su cosa

Perché le tasse ?

La loro origine è antica, e non è il caso di fare qui dei riferimenti storici. Ci interessa invece sottolineare come le tasse vengano sempre imposte dal POTERE in carica, pagate dai cittadini che si riescono a raggiungere. In teoria le tasse debbono coprire la SPESA PUBBLICA cioè il costo di tutti quei servizi resi ai cittadini nel loro insieme, servizi che il singolo cittadino non potrebbe procurarsi da solo. Essenzialmente :

  • Difesa e sicurezza
  • Viabilità (strade, ponti, ecc)
  • Giustizia

Oggi anche molti altri servizi.
In realtà le tasse sono sempre servite anche, e SOPRATUTTO, per pagare altro :

  • in passato lo sfarzo dei regnanti e dei nobili
  • gli eserciti e le guerre
  • oggi la classe politica e burocratica, oltre ai tanti veri servizi collettivi.

La percezione di iniquità delle tasse dipende dal fatto che la quota dedicata ai servizi appare insufficiente rispetto alla quota dedicata ai privilegi delle classi al potere. Valeva in passato e vale oggi.
Questo porta spesso alcuni cittadini su posizioni addirittura negazioniste, anarchiche, in cui si prefigura la scomparsa dello Stato, servizi inclusi, pur di cancellare le tasse. Si tratta di posizioni insensate, perché una qualsiasi organizzazione sociale ha bisogno di servizi comuni e di spese comuni.
In un condominio nessuno si meraviglia di avere servizi comuni (scale, ascensore, centrale termica, tetto) e di pagare spese comuni per l’esercizio e manutenzione di tali servizi.
La distorsione nasce, nella spesa pubblica, quando non ci si limita più all’essenziale, ma si espande la spesa pubblica sino a coprire servizi molto diversi, che potrebbero essere resi da privati su richiesta degli interessati, oppure servizi assistenziali ai più deboli, ecc, ecc.
La spesa pubblica, nei regimi comunisti, è arrivata a coprire la PRODUZIONE DI STATO anche di beni di uso corrente, sulla base di una ideologia che assegnava allo Stato ogni ruolo produttivo, deprivando interamente il privato, almeno sulla carta.
Quale che sia l’ideologia che governa uno Stato, la spesa pubblica va coperta da ENTRATE che dovrebbero essere le TASSE, anche se quasi tutti gli stati ricorrono anche ad indebitamento e/o stampa di valuta.

Tasse su CHI e che su cosa

CHI : essenzialmente i cittadini, in un modo o nell’altro, quelli che hanno un REDDITO, perché senza reddito manca la base stessa del prelievo fiscale. Un bambino non paga tasse: come potrebbe?
Il reddito è il corrispettivo in soldi di una prestazione lavorativa o produttiva.
Lo Stato, in tutti i paesi del mondo, tassa i redditi delle persone fisiche. Da noi si chiama IRPEF.
Ma non si limita a questo: tassa anche le COSE, cioè i consumi. Si chiama IVA (imposta sul valore aggiunto) ma non solo. Infatti alcuni Stati (Italia in testa) applicano altre tasse sulle cose che consumiamo, nelle forme più fantasiose : accise, bolli, dazi, “diritti”, ecc, ecc.

Non basta : lo Stato applica delle tasse anche alle IMPRESE, sul loro UTILE, a prescindere dall’uso che ne viene fatto. Questa tassazione, leggera in alcuni paesi, pesante in altri, ha in sé un baco logico, perché le imprese, tutte, sono STRUMENTI di lavoro, non persone fisiche, e se è vero che le tasse sono destinate a coprire il costo dei servizi, questi vengono resi alle persone fisiche, non ai loro strumenti. Anche un servizio reso ad una impresa è in realtà reso alle persone fisiche che fanno uso di quella impresa, titolari e dipendenti. Ma tant’è, le imprese pagano tasse.

Riassumendo :

  • tasse sui redditi delle persone fisiche
  • tasse sui consumi (IVA, ecc)
  • tasse sulle imprese

Sono indispensabili tutte e tre ? In teoria no. Ciò che importa allo Stato è disporre di entrate sufficienti a coprire i suoi costi. Che poi queste entrate derivino da redditi, consumi o imprese, è secondario. Siccome la spesa pubblica è sempre TANTA ed i contribuenti cercano invece di scappare, lo Stato tassa tutto il tassabile, purché sia raggiungibile.

Ma la suddivisione delle tasse ha anche altre ragioni.

Prima di proseguire aggiungiamo un’altra distinzione, in funzione della DESTINAZIONE delle entrate fiscali : tasse di scopo e tasse generaliste. Le tasse di scopo sono entrate specifiche, destinate ad una spesa specifica. La TARI è una tassa specifica destinata a coprire lo smaltimento rifiuti. Il Canone RAI copre specificamente le spese RAI . I contributi previdenziali, che NON sono una tassa, ma le somigliano, sono entrate de destinare alla sola copertura della spesa previdenziale, e non altro.
In passato esisteva una tassa specifica per coprire le spese del Servizio Sanitario Nazionale.
Oggi queste spese sono coperte dalla fiscalità generale.

Un sistema fiscale di massima trasparenza darebbe molta diffusione alle tasse di scopo: so quanto pago a fronte di cosa. Con le tasse generaliste, invece, pago, ma non so in cambio di cosa. Queste sono le più diffuse, perché lasciano alla Pubblica Amministrazione la massima discrezionalità di spesa.

Torniamo alle tasse sui redditi o sulle cose.
Se le tasse fossero solo sulle cose, il carico fiscale sarebbe uniformemente distribuito su queste, a prescindere dal potere di acquisto del cittadino consumatore. Se un litro di benzina costa 1,5 € tasse incluse, questa cifra è la stessa per il miliardario, e per chi percepisce un reddito minimo. Il carico fiscale è irrilevante per il miliardario, pesante per il consumatore povero. Il vantaggio sarebbe che chi consuma poco crea risparmio, disponendo di tutto il suo reddito, esentasse.

Questo tipo di tassazione scoraggia i consumi delle fasce meno abbienti.

Se le tasse fossero solo sui redditi, anche con una sola aliquota fiscale uguale per tutti, i ricchi contribuirebbero più dei poveri alle entrate fiscali dello stato. Questo effetto viene amplificato dalle aliquote variabili e progressive in funzione del reddito, come previsto nella nostra Costituzione.
Un tale metodo incoraggia i consumi, perché la pressione fiscale è concentrata sui soli redditi.

E’ un bene incoraggiare i consumi ? Si e no, perché scoraggia il risparmio, che ha una funzione economica rilevante, per i cittadini consumatori come per le imprese. Da qui la necessità di una politica fiscale equilibrata, che suddivida il carico fiscale tra redditi e consumi, senza scoraggiare i consumi, ma neppure il risparmio.

E le imprese? La fiscalità applicata all’utile lordo d’impresa penalizza l’impresa, perché sottrae risorse economiche destinabili al suo sviluppo. I soldi che restano in azienda, e non vengono distribuiti agli azionisti (tassabili sul reddito) ne aumentano la capitalizzazione, quindi la solidità, la capacità di investimento, lo sviluppo. Ma lo Stato pare infischiarsene, con una sola giustificazione: immagina che l’impresa dirotterebbe altrove il suo utile, se fosse esentasse, per poi distribuirlo altrove alle stesse persone fisiche, sottraendole alla fiscalità nazionale.
Invece di adoperarsi per impedire che questo accada, preferisce semplificare, tassando l’utile lordo, senza per questo riuscire ad impedire l’elusione fiscale ottenuta con i medesimi metodi che l’impresa potrebbe usare per distribuire utile d’impresa a persone fisiche in maniera non trasparente.

SPESA PUBBLICA, DEFICIT E PIL

Premesso che un certo livello di spesa pubblica è indispensabile, COSA questa debba coprire è opinabile e dipende all’orientamento politico. Quale che sia il suo importo, resta il fatto che la spesa pubblica sono SOLDI, e per alimentare queste USCITE di soldi servono ENTRATE. Qualsiasi casalinga sa che può spendere non più di quello che guadagna, possibilmente meno, per risparmiare qualcosa, per fare fronte alle emergenze. La casalinga lo sa, lo Stato no. Infatti lo stato si indebita alla grande perché spende più di quanto guadagna. Fa deficit e per coprire le spese in più si indebita. Lo fanno anche le famiglie qualche volta, ma con cautela, sapendo che il debito va restituito, altrimenti il bene acquistato viene sequestrato dal creditore. Lo Stato si sente forte : chi può sequestrare cosa? E a chi, poi ? Lo Stato è una astrazione ! Le persone fisiche no !

Così lo Stato si indebita a dismisura, anche a causa degli interessi passivi che il debito comporta.
Alcune visioni politiche si fondano sull’espansione della spesa pubblica : si concentrano sulle NECESSITA’ e la spesa conseguente non è per loro evitabile. Se mancano le entrate di copertura, o si aumentano le tasse o si fa debito. Quanto debito ? Anche tanto !
Il quantum viene determinato rapportando, in percentuale, il deficit al PIL (prodotto interno lordo) un indicatore che ci dice quanta ricchezza venga prodotta e consumata nel paese.
Il deficit del 2,6% significa che il 2,6% del PIL nazionale è pari alla differenza tra USCITE ed ENTRATE dello stato. Questo valore dovrebbe essere = zero (entrate = uscite) e preferibilmente negativo (entrate maggiori delle uscite), per costituire risparmio.

L’altro indicatore è il rapporto tra il debito complessivo ed il PIL (132% !!! in Italia). I due indicatori si influenzano a vicenda. Con un rapporto debito/PIL modesto, anche un deficit superiore al 3% del PIL potrebbe essere TEMPORANEAMENTE accettabile, per far fronte a situazioni contingenti. Ma se il rapporto debito/PIL supera il 100% !!! Per capirci, è come se, per restituire TUTTO E SUBITO il debito pubblico, noi dovessimo devolvere ai creditori l’intero reddito nazionale di un anno (100%) ed oltre (132%).

Ma torniamo alla spesa pubblica ; si è detto che può riguardare un’infinità di cose. Notiamo che, quale che sia la destinazione iniziale di spesa, i soldi finiscono nelle tasche di una moltitudine di persone, non soltanto dei diretti percettori. Anche il super stipendio di un politico verrà speso, e quindi alimenterà diversi canali economici, i medesimi di chi ha un reddito da lavoro privato. Persino il reddito da corruzione poi viene speso ed alimenta l’economia. La DISTORSIONE è puramente distributiva, riguarda cioè la distribuzione dei benefici economici tra i diversi percettori. In Italia la spesa pubblica supera il 50% del PIL nazionale. Significa che metà della spesa privata nazionale dipende dal giro di soldi pubblico, fatto di tasse e debiti. Se da un giorno all’altro fosse possibile dimezzare la spesa pubblica, il 25% del PIL nazionale andrebbe in fumo. Il risparmio potrebbe abbattere velocemente il debito, ma il rapporto tra debito e PIL potrebbe persino salire : 132-25= 107; 100-25=75 ; 107 / 75 = 142%

In altre parole : ad ogni diminuzione della spesa pubblica dovrebbe corrispondere un aumento di PIL privato almeno equivalente. In questo caso il rapporto debito/PIL potrebbe scendere. Abbiamo trascurato per semplicità la riduzione di debito dovuta a minori interessi. Quindi per abbattere questo rapporto serve CRESCITA ECONOMICA, non legata a spesa pubblica. Questa, in teoria, potrebbe venire stimolata da un risparmio fiscale corrispondente in tutto o in parte al risparmio di spesa pubblica. Forse, perché non è automatico che un risparmio fiscale venga investito per produrre ricchezza. Se venisse investito in finanza l’effetto sarebbe zero. Secondo alcune teorie economiche, bene o male interpretate, la crescita economica può essere stimolata da un aumento della spesa pubblica. Il ragionamento è :

TASSE > ENTRATE FISCALI > SPESA PUBBLICA > CONSUMI PRIVATI > + PRODUZIONE

> + REDDITI > + TASSE …….

Questa relazione è solo parzialmente vera. Infatti è vero che la maggiore spesa pubblica distribuita genererà dei consumi (ma non è certo ! Molti redditi potrebbero essere investiti in finanza, che non produce crescita). Più consumi possono implicare più produzione nazionale (ma potrebbe invece essere estera !) e possono indurre maggiore occupazione.

L’effetto moltiplicativo, però, non è scontato.

L’intera spesa pubblica potrebbe venire CONSUMATA e non investita. Il consumo senza investimenti non produce nuova ricchezza. Oppure potrebbe venire investita in FINANZA, che non produce nuova ricchezza. Non solo: anche la spesa pubblica considerata INVESTIMENTO non è MAI un investimento produttivo. Se investo X milioni di € in una azienda che produce scarpe, questa produrrà un reddito per l’investitore e per i dipendenti, per molti anni a venire, sino a quando resta sul mercato.
Ma se costruisco un ponte, una strada, una qualsiasi infrastruttura che NON realizzi un servizio pubblico A PAGAMENTO, quell’investimento darà lavoro ad aziende e maestranze per un certo periodo di tempo; poi fine; tutti a casa. La stragrande maggioranza della spesa pubblica che conosciamo NON ha un ritorno economico. Spendi e basta, anche quando crei infrastrutture utili. Non avendo un ritorno economico, NON CREA RICCHEZZA.
Infatti la RICCHEZZA si produce solo e soltanto quando i ricavi superano i costi. SEMPRE !
Se i ricavi pareggiano i costi c’è solo TRASFERIMENTO DI RICCHEZZA tra operatori economici, ma alla pari. L’ERRORE di alcune scuole di pensiero dipende da una ignoranza di fondo di alcuni principi fisici, veri anche in economia : non si può creare qualcosa dal NULLA. La materia si può solo TRASFORMARE. La RICCHEZZA altro non è che la trasformazione della materia in aggregati più utili per i nostri bisogni, disponibili in maggior numero. Il NUMERO DI ATOMI non cambia ! Cambia la molteplicità delle loro aggregazioni in un numero di aggregati crescente ed utile al nostro fabbisogno.

Si può tuttavia sostenere che alcuni investimenti pubblici abbiano un ritorno economico : SCUOLA, CULTURA, RICERCA. Si, il SAPERE aiuta a produrre ricchezza, anzi, ne è il presupposto.
Però non è un rapporto automatico. Se lo Stato italiano spende per la MIA formazione culturale e poi io vado a farla fruttare all’estero, per lo Stato Italiano è stata una perdita secca. Inoltre io non restituirò mai allo Stato i soldi che ho ricevuto per la mia formazione culturale, non in maniera riconoscibile, almeno. Se questa formazione fa di me un PRODUTTORE DI RICCHEZZA la restituzione ci sarà attraverso le tasse che pagherò, sempre che resti in Italia, sempre che io non abbia un impiego pubblico, pagato con le tasse.

IL REDDITO DEI DIPENDENTI PUBBLICI

Non se ne rendono conto, ma il loro reddito è esentasse. Non pagano né tasse né contributi previdenziali. Formalmente lo fanno, se guardiamo la busta paga, ma è solo un giro conto nella Pubblica Amministrazione. Hanno un reddito lordo di 100 (che proviene dalle tasse), intascano 60 al netto, e quei 40 di differenza sono solo tasse altrui (del privato) non devolute alle loro tasche.

In realtà guadagnano 60 esentasse.

Le loro pensioni vengono pagate a fronte di contributi previdenziali “formalmente” pagati, ma solo formalmente: si tratta solo di tasse non utilizzate per quel dipendente. Per i privati il reddito NON proviene dalle tasse e quelle che pagano sono TASSE VERE. Anche le pensioni dei dipendenti pubblici sono calcolate sulla base dei versamenti previdenziali VIRTUALI, non reali. Teniamo anche conto del fatto che il sistema previdenziale italiano è del tipo a ripartizione : significa che le pensioni vengono pagate con i contributi previdenziali di chi è ancora al lavoro, sulla base di un implicito patto inter-generazionale. Questo è rigorosamente vero per i lavoratori del settore privato. Nel pubblico impiego, invece, i lavoratori non versano nulla, in concreto, per cui i pensionati del settore pubblico vengono pagati, ancora una volta, con le tasse correnti.

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