Premessa
L’Italia sta attraversando un periodo estremamente difficile, proseguendo in un declino che appare inarrestabile, sul piano economico, ma anche demografico, della coesione sociale, della percezione di sicurezza. La cosa peggiore è che sono venute gradualmente meno le RISORSE UMANE indispensabili ad invertire la rotta, perché il degrado ha coinvolto tutto, anche la preparazione delle persone, pur con le eccezioni diffuse, che non mutano, però il quadro generale.
Questo programma esprime una proposta nell’ambito del progetto politico di Svolta Europea, una proposta che non pretende di essere esaustiva, ma propone elementi di riforma interconnessi, legati strutturalmente l’uno all’altro, toccando elementi chiave per cambiare la faccia del Paese.
1. La riforma dello stato
Non è possibile introdurre altre riforme se, in via preliminare, non viene riformata la macchina dello Stato, inteso come pubblica amministrazione sia centrale che periferica. Questa riforma passa attraverso una revisione costituzionale. Gli elementi essenziali :
a) Parlamento monocamerale, con abolizione del Senato ed introduzione di una Camera unica, con drastica riduzione del numero dei parlamentari e dei relativi emolumenti e privilegi.
b) Ripristino dei ruoli costituzionali di Parlamento (legislativo) e Governo (esecutivo).
Un Parlamento monocamerale snello, capace di legiferare su iniziativa propria, con definitivo abbandono delle decretazione governativa e revisione delle regole parlamentari allo scopo di impedire rallentamenti ed ostruzionismi. Significa anche una funzione governativa delegata ad AMMINISTRARE le risorse economiche disponibili, in ottemperanza alle indicazioni di leggi delega parlamentari, (leggi QUADRO) sottraendo al Governo la capacità legislativa in materia fiscale e debitoria.
c) Autonomia amministrativa periferica, con redistribuzione delle entrate fiscali ed uscite di spesa tra Stato, Regioni e Comuni.
Significa delegare alle amministrazioni locali l’imposizione fiscale a copertura delle loro spese correnti, mantenendo a carico della fiscalità statale la copertura delle spese proprie (di competenza statale) o per investimenti in infrastrutture, e la perequazione volta a garantire che le amministrazioni locali siano comunque in grado di assicurare sempre i servizi minimi essenziali.
Significa rifondare la Repubblica, in via costituzionale, in senso federalista, responsabilizzando pubblica amministrazione e cittadini sulla gestione delle fonti di entrate e delle spese dei territori.
d) Ridefinizione del perimetro delle amministrazioni locali, con abolizione delle Province ed accorpamento delle loro funzioni in quelle di Regioni e Comuni, oppure, in alternativa, abolizione anche delle “Regioni” sotto il profilo amministrativo, e creazione di Distretti territoriali omogenei, sostituivi di regioni e province attuali.
e) Ristrutturazione della Pubblica Amministrazione a tutti i livelli, con revisione e riduzione degli incarichi manageriali (numero) e relativi emolumenti (tetto) e riorganizzazione volta a potenziare il lavoro produttivo di valore rispetto a quello di carattere non produttivo, anche se necessario, ed eliminazione delle funzioni ridondanti e meramente burocratiche.
f) Divieto costituzionale di finanziamento pubblico ai partiti, direttamente o indirettamente; finanziamento dei partiti politici da parte dei cittadini, su base volontaria ed anche con 1 € per voto trasmesso all’atto del voto, via SMS ; bilanci e spese trasparenti e pubblicate su Internet.
g) Competenze statali limitate a : Amministrazione della Giustizia, Difesa, Polizia di Stato (con un progetto di fusione con l’Arma dei Carabinieri), politica estera, gestione delle calamità naturali (protezione civile), grandi infrastrutture inter distrettuali e di interesse nazionale.
Ogni altra competenza a carico delle Amministrazioni locali.
h) Nuove REGOLE per la formulazione delle LEGGI con abolizione dei riferimenti incrociati ; TESTO UNICO, omnicomprensivo, per ogni dispositivo di legge. UNIVOCITA’ DI OBIETTIVO DELLA LEGGE, con divieto di leggi multi-obiettivo (decreti milleproroghe ed assimilabili).
Revisione graduale delle leggi che NON rispondono a questi principi.
Abolizione del principio di NON ignoranza della legge da parte del cittadino. La legge va RESA ACCESSIBILE al cittadino, in ogni senso, anche quanto a comprensibilità, ed il cittadino va informato su tutte le leggi, e solo quelle, che competono alla sua condizione esistenziale o professionale, su sua richiesta.
2. La riforma fiscale
DEVE essere a carattere strutturale, anche se applicata gradualmente per non creare sconquassi. I suoi principi DEVONO essere inseriti nella Costituzione affinché non possano venire stravolti tra una gestione parlamentare e l’altra, a seguito di orientamenti politici modificati.
I principi :
1. Carico fiscale complessivo sulla persona fisica NON superiore ad un tetto prestabilito.
2. Progressività del carico fiscale complessivo sulla persona fisica, sulla base di un algoritmo che non preveda gradini di cambiamento del carico fiscale, preveda una aliquota fiscale unica, pari al tetto per i redditi più elevati, preveda una detrazione massima molto significativa dal reddito imponibile, una soglia reddituale di esonero da qualsiasi carico fiscale, ed un reddito di sostegno (condizionato) al di sotto di tale soglia.
Obbligo di accertamento fiscale per i soggetti fiscalmente esenti per reddito, o titolari di un sostegno economico.
3. Massima estensione alla “fiscalità di scopo”, corrispettivo specifico per un servizio pubblico offerto al cittadino.
4. Imposte sul reddito complessivo della persona fisica, separatamente per lo Stato centrale e per le pubbliche amministrazioni territoriali, con carico fiscale complessivo soggetto a quanto stabilito al punto 1. Gestione autonoma di entrate ed uscite delle amministrazioni locali.
5. Aliquote fiscali separate e trasparenti per le voci di spesa pubblica più significative come la Sanità, il trasporto pubblico locale, la raccolta e smaltimento dei rifiuti, ed altre eventuali.
6. Riduzione, sino ad azzeramento, delle imposte sulle imprese, trasferendo sui redditi di titolari d’impresa ed azionisti il carico fiscale relativo al solo utile distribuito, previo accertamento della non sussistenza di forme di elusione da mascheramento del reddito d’impresa.
Abolizione di qualsiasi altro contributo o forma di incentivo alle imprese.
Fiscalità ZERO per le imprese trasparenti.
3. La politica economica e finanziaria
I principi della sussidiarietà tra Stato e Distretti territoriali implicano che ad ogni insieme amministrativo competa la raccolta fiscale delle risorse e la destinazione di spesa, facendo ricorso all’indebitamento, limitato, su base propria, statale o distrettuale. Significa spezzare l’immenso debito pubblico e distribuirlo sui beneficiari delle risorse e delle spese, suddividendo così anche il rischio del debito frazionato, come già accade nei Lander tedeschi. Il processo di trasferimento, necessariamente graduale, passa attraverso la cessazione dei trasferimenti statali agli enti territoriali, con conseguente alleggerimento della spesa statale, e quindi del debito pubblico statale attuale.
Va ribadito il principio costituzionale del rispetto dell’equilibrio di bilancio, sia per lo Stato che per i Distretti, quindi in un regime di parità tra entrate ed uscite. Gli enti pubblici NON sono aziende, e non debbono né guadagnare né perdere soldi. La raccolta fiscale DEVE essere quella minima indispensabile ad assicurare i servizi necessari alla comunità nazionale.
Distribuzione delle entrate tributarie: le entrate tributarie italiane sono dell’ordine di 586 miliardi (2022), dei quali circa la metà derivano da imposte dirette e l’altra metà da imposte indirette. I trasferimenti dello Stato agli enti locali ammontano a circa la metà delle entrate tributarie complessive. Questo semplifica molto la ripartizione di entrate ed uscite tra Stato centrale ed enti locali. Infatti basta attribuire agli enti locali le entrate derivanti dalle imposte dirette, lasciando allo Stato tutte le altre fonti di entrata. Una tale ripartizione non crea sconquasso, salvo il fatto che i territori con maggiore reddito avranno una quota superiore di entrate tributarie da imposte dirette, rispetto ai territori con reddito minore.
E’ anche vero, tuttavia, che i territori meno ricchi hanno anche esigenze minori sotto il profilo infrastrutturale e dei servizi, e comunque lo Stato può intervenire in via perequativa quando indispensabile.
Conflitto di interessi tra enti pubblici : il principio del NON superamento del massimo carico fiscale individuale, espresso parlando di riforma fiscale, implica che il carico fiscale derivante dalle imposte dirette ed indirette, facenti capo ad organismi diversi, debba essere negoziato tra le parti “pubbliche”, perché l’aumento delle aliquote fiscali degli uni può sottrarre risorse agli altri, a parità di condizioni reddituali complessive imponibili fiscalmente, quindi a parità di reddito nazionale e/o locale.
Il cittadino contribuente DEVE AVERE DIRITTO, PER LEGGE COSTITUZIONALE, allo scarico fiscale di imposte già pagate che eccedano il tetto fiscale massimo che gli compete in base al suo reddito. Il senso di cui al punto 2 della sezione in cui si parla di riforma fiscale è esattamente quello di determinare il massimo carico fiscale in rapporto al reddito individuale complessivo del cittadino. La detrazione prevista ha lo scopo di consentire la detrazione documentata di tutte le spese fiscali dirette ed indirette, in primo luogo, oltre che eventuali spese sostenute a vario titolo, sino al valore massimo di detrazione previsto.
4. La riforma previdenziale
La previdenza sociale rappresenta una forma di sostegno sostanziale al reddito delle persone fisiche una volta raggiunta quella soglia d’anzianità che ragionevolmente non consenta di proseguire senza grande sacrificio l’attività lavorativa, ovvero la persona si trovi nella condizione di non trovare più una collocazione nel mercato del lavoro, per quanti sforzi faccia.
Il sistema previdenziale italiano è da sempre del tipo a ripartizione, senza capitalizzazione dei versamenti previdenziali effettuati. Significa dire che i figli al lavoro pagano la pensione ai padri ed alle madri, visto che i contributi previdenziali versati OGGI da chi lavora vengono spesi OGGI (non domani) a favore dei pensionati di oggi, non di domani.
Questo sistema non è iniquo come a taluno pare, anzi, è vero il contrario, ma ad alcune condizioni:
Il sistema previdenziale DEVE essere in equilibrio strutturale; significa che l’importo delle entrate contributive DEVE corrispondere alle uscite pensionistiche, dedotte le spese di funzionamento dell’Ente previdenziale (oggi INPS). Perché questo sia possibile, occorre rivedere il calcolo di TUTTE le pensioni, anche pregresse, su base contributiva, calcolando la somma degli importi versati, rivalutati opportunamente, per gli anni di contribuzione, quali che siano, determinando così una QUOTA di partecipazione al monte previdenziale annuo, costituito da tutti i versamenti correnti. Questo implica percepire una quota del monte pensioni, su base annua, variabile nel tempo, anno dopo anno.
Eventuali errori di rivalutazione sono applicati pariteticamente a tutti e non alterano la ripartizione, almeno su base generazionale.
Significa che l’importo della pensione percepita dipenderà anche dal numero di lavoratori in servizio e dai loro versamenti previdenziali, quindi sia dalla quantità dei lavoratori che dal loro reddito medio. In pratica i pensionati parteciperanno del benessere crescente nel paese, oppure del suo declino economico. Un tale approccio implica anche, per tutti i lavoratori, uno stimolo ad investire sul futuro, sui propri figli, sulla loro futura capacità di produrre reddito crescente, perché una parte di tale reddito ricadrà sul futuro pensionato, oggi al lavoro. Inoltre visto che l’importo di pensione percepibile dipende soltanto dalle quote maturate, questo approccio rende inutile il limite prestabilito per l’ingresso in pensione, perché un ingresso prematuro determina anche una quota molto più ridotta e quindi una pensione minima, senza alterare l’equilibrio strutturale del sistema, ma incidendo soltanto sulla distribuzione delle pensioni. Ad ogni modo si può stabilire una soglia d’ingresso minima di 35 anni di contribuzione, con forte penalizzazione della quota, e con eccezioni per i soggetti che siano, autenticamente, invalidi civili.
Il reddito sul quale imporre l’aliquota di contribuzione previdenziale (complessivamente al 33%) DEVE avere un limite superiore, oltre il quale non si applica, evitando così di determinare quote per la pensione futura suscettibili di produrre pensioni d’ORO ! Un tale limite potrebbe essere un reddito complessivo individuale lordo di 30..40mila € annui. Il cittadino potrebbe, a sua discrezione, destinare altra parte del suo reddito a forme di previdenza integrativa privata, a capitalizzazione. Non è possibile optare per la sola previdenza privata, in sostituzione di quella pubblica, perché il sistema si regge sulla coincidenza di contribuzione attuale ed erogazione attuale, senza capitalizzazione. Separazione NETTA, non soltanto a bilancio, dell’Istituto di previdenza sociale del settore privato da quella relativa al settore pubblico e da TUTTA l’assistenza oggi erogata da INPS, a qualsiasi titolo, e sostenuta dallo Stato. Questa separazione è indispensabile per assicurare l’equilibrio strutturale del sistema di previdenza privata ad erogazione variabile. Le pensioni del settore pubblico, per il quale le trattenute previdenziali sugli stipendi sono meramente formali, in quanto il settore pubblico ha come sole fonti di entrata quelle fiscali, vanno gestite separatamente, come voce di costo dello Stato, a carico dello Stato e della fiscalità generale.
Gestione organica dell’assistenza pubblica, a prescindere da quali siano i destinatari, che si tratti di pensionati, oppure no, disoccupati, disabili, bisognosi di integrazione del reddito, ivi incluse le pensioni di reversibilità oggi a carico della Previdenza, destinate a soggetti che NON sono stati, o sono stati solo in misura parziale, produttori di reddito.
Questo argomento merita un capitolo a parte.
5. La riforma dell’assistenza sociale
Tra i maggiori “buchi neri” della spesa pubblica italiana. Invecchiamento della popolazione, espulsione prematura dal mondo del lavoro per obsolescenza professionale, delocalizzazione di attività produttive, sottosviluppo di alcuni territori del paese, crisi economica, ed altro ancora, hanno trasformato l’Italia in un paese di assistiti o di bisognosi di assistenza. Su circa 60 milioni di individui, 16 milioni sono pensionati, circa 31 milioni sono contribuenti IRPEF mentre 29 milioni sono indeterminati.
Tolti dai 31 milioni di contribuenti i 16 milioni di pensionati restano soltanto 15 milioni di produttori di reddito, di cui però 3 milioni sono dipendenti pubblici, pagati con le tasse degli altri 12 milioni. Una condizione fallimentare da fronteggiare.
L’assistenza sociale NON è la soluzione : questa risiede nel riuscire a ritornare su un cammino di sviluppo e di moltiplicazione dei posti di lavoro occupati. Nel frattempo, però, lo Stato e le amministrazioni locali debbono fare fronte a questo immenso vuoto, che va riempito con le poche risorse a disposizione. Come ?
Tutto dipende da qualcosa di esterno al sistema assistenziale in sé, cioè le ALTRE riforme descritte in questo programma, in primo luogo la riforma dello Stato in senso federale, e quella fiscale. Assegnare ai territori responsabilità proprie di entrata e di spesa, devolvendo alle amministrazioni locali Distrettuali tutto il gettito IRPEF locale, equivale a costruire delle “grandi famiglie”, ma più piccole dello Stato nel suo insieme, capaci di fare fronte alle proprie necessità interne su vari fronti, da quello comunale a quello di ordine superiore (Regione, Distretto ..).
Significa :
1 . Sistema sanitario locale, con entrate proprie, specifiche, di scopo, volto a coprire i costi dell’assistenza sanitaria locale complessiva, ivi inclusa la disabilità, oggi coperta da INPS, visto che si tratta di un problema di ordine sanitario locale.
Una vera TASSA PER la salute.
2. Assistenza economica agli incapienti, ed integrazione per i disabili, grazie anche al nuovo sistema fiscale ad aliquota fissa ma con detrazione, aumentando l’importo della detrazione per i disabili (indennità di accompagnamento), con conseguente possibile erogazione di un reddito di sostegno da parte del Distretto che amministra le entrate fiscali, per chi ha un reddito abbastanza basso.
3. Edilizia residenziale agevolata, che non DEVE significare case popolari a titolo gratuito o con affitti risibili, ed enti di gestione fallimentari, ma assegnazione di reddito agli incapienti, in base alla riforma fiscale, con obbligo di destinazione di una parte di tale reddito come affitto di immobili civili in convenzione col Comune, con garanzia dell’ente pubblico che eroga il sostegno al reddito. Significa che se un soggetto è destinatario di un sostegno al reddito di 500 €, ed ha bisogno di un alloggio, tale sostegno al reddito viene pagato direttamente dal Comune al locatore dell’immobile scelto dal beneficiario, previa convenzione stipulata tra locatore e Comune. Certezza per il locatore, e responsabilità pubblica sull’uso che il locatario fa dell’alloggio. Si evitano in questo modo i GHETTI URBANI, ormai già troppo diffusi, riportando sul mercato tanti alloggi spesso tenuti sfitti dai proprietari, per assenza di garanzie.
Significa anche, per il Comune, l’obbligo di trovare una sistemazione decorosa per i senza tetto, e l’obbligo per il senza tetto di rinunciare ad una vita vagabonda, per strada.
Vale anche, e soprattutto, per le etnie ROM ed assimilabili, che vanno TOLTE dalla strada, spezzando anche i legami tribali che le legano e fanno perdurare nel tempo questo stile di vita intollerabile in un mondo civile.
4. Pensioni sociali e di reversibilità : si tratta di “assistenza economica”, oggi a carico INPS, ma di fatto a spese dello Stato, grazie ai suoi trasferimenti ad INPS. La devoluzione dell’IRPEF alle amministrazioni locali e la limitazione dei compiti statali determina anche la presa in carico da parte di queste del reddito di sostegno agli aventi diritto, vale a dire a persone che, a prescindere dalla loro condizione originaria e dalla loro storia di vita, si trovino in condizioni di oggettiva necessità di integrazione del loro reddito, perché insufficiente o assente.
6. Le politiche del lavoro e per il sostegno demografico
Il reddito medio familiare individuale esprime una nuova formula per sostenere il reddito dei nuclei familiari, non su base sussidiaria, ma in primo luogo su base decontributiva.
Con la riduzione progressiva del reddito imponibile residuo, dopo detrazioni, previsto dalla riforma fiscale al punto 2, anche le aliquote fiscali applicabili su tale reddito scendono, sino a valori che possono persino essere negativi, corrispondenti ad un “rimborso” fiscale ai cittadini più incapienti. Questo criterio eccede quello della sola esenzione fiscale per i meno abbienti, riconoscendo la necessità di sostenere gli incapienti con risorse comuni della collettività, con lo scopo di strappare un numero elevato di persone da una grave condizione di indigenza.
Possiamo definirlo un reddito di dignità, non di cittadinanza, con un sostegno assistenziale concreto rivolto soltanto a quanti ne abbiano concretamente diritto, cittadini italiani a tutti gli effetti, privi di patrimonio e con reddito personale e familiare insufficiente e non ragionevolmente incrementabile, per motivi anagrafici, disabilità, ecc.
Un tale contributo assistenziale dovrebbe anche tenere conto delle effettive condizioni esistenziali del beneficiario, e della sua appartenenza o meno ad un gruppo familiare di sostegno, in quanto minore, disabile, anziano, ecc.
Questo implica calcolare la capacità contributiva individuale come valore medio di quella familiare complessiva, paritaria tra tutti i membri, indipendentemente da chi e quanti siano quanti concorrono alla formazione del reddito familiare.
Significa quindi assegnare un “reddito familiare medio” a TUTTI i membri conviventi del nucleo familiare, bambini inclusi, coniugi a carico privi di reddito, anziani o parenti a carico, purché conviventi. Sommando tutti i redditi del nucleo familiare e dividendo il valore complessivo per il numero di teste si perviene ad un reddito medio individuale tanto più basso quanto più numerosa è la famiglia e pochi i produttori di reddito. Questo può condurre a minimizzare la contribuzione fiscale individuale e complessiva, sino ad azzerarla o a scivolare nella condizione di sussistenza, con “rimborso” fiscale ai suoi componenti.
Politiche del lavoro: il lavoro è la sola fonte di reddito primaria, preliminare alla costituzione eventuale di capitale ed alla formazione di reddito da capitale. Il lavoro si distingue tra lavoro che produce ricchezza e lavoro sussidiario. Il lavoro che produce ricchezza è quello che soddisfa esigenze di mercato, di consumo di beni o di servizi “desiderabili” , non di servizi obbligati. Il lavoro sussidiario è quello determinato da adempimenti non rinunciabili, ma non per questo desiderabili.
Buona parte dei servizi pubblici è caratterizzata in questo modo (anche se non tutti : i trasporti pubblici, ad esempio, sono un servizio desiderabile, così come il servizio sanitario). Anche molti servizi privati sono tuttavia NON desiderabili anche se spesso irrinunciabili (servizi legali, assistenza fiscale, ecc, ecc).
Vogliamo qui esprimere il principio della INCENTIVAZIONE del lavoro che produce ricchezza e della DISINCENTIVAZIONE del lavoro sussidiario, anche se utile, tanto più se inutile. Il lavoro che produce ricchezza si colloca nelle IMPRESE ; facilitare la vita delle imprese, sotto il profilo normativo e fiscale, incentiva il loro sviluppo e la richiesta di lavoro.
Ciò che NON va fatto :
Ridurre l’attuale “cuneo fiscale” tra reddito lordo e netto dei lavoratori dipendenti a valere sulla contribuzione previdenziale. La contribuzione previdenziale che sostiene il sistema pensionistico DEVE essere sostenuta da TUTTI i lavoratori, vecchi come giovani, purché produttori di reddito, allo stesso modo, quale che sia l’aliquota.
Distribuire sussidi alle imprese, che debbono essere in grado di reggersi sulle proprie risorse oppure chiudere. Questo diventa ancor più vero se si defiscalizzano le imprese come tali, trasferendo la fiscalità soltanto sugli utili distribuiti alla proprietà.
Ciò che VA fatto :
Equiparare il trattamento economico e normativo tra lavoro nel pubblico e nel privato. Non ha senso distinguere il valore del lavoro in funzione della sua collocazione pubblica o privata. I DIRITTI debbono essere uguali per tutte le categorie, senza privilegi.
Trasformare il rapporto tra datori di lavoro e dipendenti in rapporto contrattuale analogo a quello tra le imprese, con diritti e doveri reciproci.
La differenza consiste nel fatto che nei rapporti di fornitura lo scambio economico è denaro contro merce, ma talvolta è denaro contro servizio, e quest’ultimo non è radicalmente diverso dal mettere a disposizione dell’azienda il “servizio” costituito dal proprio lavoro.
Ogni lavoratore va equiparato ad un fornitore individuale di servizi, con contratto analogo a quello di una società di servizi, quindi rescindibile per inadempienza, da ambo le parti, e con clausole contrattuali di salvaguardia. Anche il lavoratore individuale DEVE AVERE DIRITTO allo scarico fiscale delle sue spese di produzione di reddito (documentate), analogamente alle imprese di servizi. Manca totalmente una normativa del lavoro su queste basi.
7. Le politiche di accoglienza o respingimento dei migranti
Un problema che sino a pochi anni fa non esisteva ma che oggi è di drammatica attualità. Il principio di riferimento è che un territorio dotato di confini nazionali e di un’autorità statale che li sovraintende appartiene alle popolazioni che in quel territorio sono nate e cresciute. I cittadini di diversa origine devono poter accedere al territorio nazionale a scopo turistico o di lavoro, ma di norma su base temporanea prestabilita, raggiungendolo attraverso canali di transito legali, di terra, di aria o di mare.
La loro presenza sul territorio nazionale deve essere resa NOTA alle autorità competenti, ed il loro rientro in patria deve avere luogo entro i termini concessi dai permessi di soggiorno, pena il reato di immigrazione clandestina, da reintrodurre nell’ordinamento. I trasgressori, una volta ritrovati, vanno arrestati e rispediti verso la destinazione di provenienza registrata, a loro spese, a spese dello Stato se privi di risorse economiche apparenti con accompagnamento alla frontiera e garanzia di imbarco.
Abolizione dei ridicoli FOGLI DI VIA !
Per fare fronte all’immigrazione irregolare di massa proveniente dal Mediterraneo, ma non solo :
1. Campagna di informazione presso ambasciate e consolati italiani dislocati nei paesi di provenienza dei migranti, spiegando ai locali le condizioni per il rilascio di richieste d’asilo, da formulare preso le strutture d’ambasciata o consolari locali. Informazione esplicita sulle conseguenze dei tentativi di immigrazione irregolare.
2. Confinamento dei migranti provenienti da qualsiasi parte del mondo, con qualsiasi mezzo, sprovvisti di regolare permesso di ingresso nel paese, in campi profughi militarizzati, in attesa di rimpatrio ove non sussistano le condizioni per una richiesta d’asilo, con onere dalla prova a carico del migrante. Rimpatrio forzoso dei migranti identificati e non aventi diritto, con accompagnamento all’imbarco su mezzi aerei messi a disposizione dallo stato.
3. Confinamento permanente dei migranti che non collaborano alla loro identificazione certa ed al loro rimpatrio. Sospensione in via definitiva di qualsiasi aiuto economico a strutture private di soccorso in mare ed a strutture assistenziali private (cooperative varie) sul territorio italiano.
4. Ricovero dei soli richiedenti asilo riconosciuti come tali in strutture pubbliche (da creare) volte ad assicurare un tetto sulla testa e sostentamento alimentare, con controllo di polizia sugli spostamenti e rientro controllato entro le ore 23 serali nella struttura di asilo. Espulsione di chi non rispetta ripetutamente le regole.
5. Elenchi dei richiedenti asilo, con curriculum professionale, a disposizione di aziende per eventuali offerte di lavoro, a disposizione di enti pubblici per impiego in servizi di pubblica utilità, a compenso delle spese di vitto ed alloggio forniti, con eventuale integrazione economica in funzione del servizio svolto.
8. La riforma della giustizia e politiche per la sicurezza
Politiche per la Giustizia
1. Accesso al terzo grado di giudizio (Cassazione) solo in caso di contrasto tra le sentenze di primo e secondo grado.
2. Responsabilità dei giudici, in base al principio secondo il quale anche un giudice deve essere responsabile dei suoi errori se dovuti a negligenza, dolo, colpa grave. Ma CHI giudica il Giudice ? Oggi è il Consiglio Superiore della Magistratura, che tuttavia non è apparso solerte, nel corso di decenni, in base al detto popolare “cane non mangia cane”. Il Giudice sottoposto a provvedimento disciplinare deve essere invece sottoposto ad una Giuria Popolare, scelta allo scopo mediante un sorteggio volto ad evitare manipolazioni.
3. Ridimensionamento dell’uso della carcerazione preventiva. Questa deve poter essere adottata soltanto in presenza di effettiva pericolosità sociale del soggetto e sempre nei casi di omicidio conclamato, non sulla base di pur fondati sospetti. La pericolosità sociale deve includere anche i danni reiterati alle persone ed alle cose.
Abolizione della carcerazione preventiva sulla sola base del “sospetto” di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato, se non rivolto verso le persone.
4. Riforma del sistema carcerario con :
– Introduzione di strutture carcerarie differenziate in base alle tipologie di reato
– Costruzione di nuove strutture carcerarie moderne
– Depenalizzazione di reati che possano trovare una equa compensazione patrimoniale.
In sua assenza, compensazione con lavoro forzoso, in regime di libertà vigilata.
– Introduzione di pene alternative, non detentive, per alcune tipologie di reato.
5. Reintroduzione del reato di falso in bilancio, se non palesemente dovuto ad errori materiali, con pene di ordine patrimoniale anche severe, ma proporzionate all’entità del falso.
6. Separazione delle carriere tra Magistratura inquirente e giudicante.
Politiche per la sicurezza
1. Processo di fusione dei corpi di polizia nazionale in un solo corpo di Polizia di Stato integrato nell’Arma dei Carabinieri al solo fine di conservare una tradizione storica consolidata, ma costituzione di fatto di un nuovo sistema integrato di polizia di stato, con compiti di ordine pubblico, di antiterrorismo, investigativi e repressivi di ordine generale.
2. Potenziamento dei servizi di sicurezza antiterrorismo ed antimafia. Meccanismi economici premianti per le operazioni di successo.
3. Mantenimento dei corpi di Polizia Locale, ex denominazione Vigili Urbani, ma con allargamento dei compiti di polizia per il controllo del territorio e coordinamento con con il corpo unico nazionale dei Carabinieri. Potenziamento dei servizi di controllo nei quartieri, con servizio sia in uniforme che in borghese. Postazioni di polizia locale stabili nelle zone ad alta pericolosità sociale (case popolari, quartieri malfamati, ecc).
4. Sburocratizzazione con abolizione delle denunce obbligatorie in tutti i casi in cui la finalità sia meramente formale. Impiegati civili, in sostituzione di quelli militarizzati, per TUTTI i compiti di ufficio, sia nella Polizia Locale che in quella nazionale.
5. Nuovo scorporo del corpo delle Guardie Forestali ed integrazione nel sistema di Protezione Civile Nazionale, da potenziare per far fronte alle ormai endemiche catastrofi naturali.
6. Mantenimento dell’attuale assetto della Guardia di Finanza e potenziamento del servizio, ma ai soli fini istituzionali, con espresso divieto di sconfinamenti .
9. La riforma della scuola
Separazione tra cultura fine a se stessa e finalizzata al lavoro. La scuola DEVE in primo luogo formare i minori sugli elementi indispensabili ad una partecipazione civile consapevole alla comunità umana, nazionale ed internazionale; significa imparare molte nozioni ma anche, e soprattutto, imparare a ragionare, a distinguere i fatti dalle opinioni, i sogni dalla realtà, impadronendosi “perfettamente” di strumenti fondamentali ed irrinunciabili come il linguaggio parlato e scritto, nella lingua nazionale ed in qualche lingua estera, inglese come minimo, come la matematica, almeno nei suoi elementi essenziali, alla base di qualsiasi processo formativo successivo.
La formazione culturale di base DEVE essere uguale per tutti, almeno per i primi 8..10 anni di studi, partendo dal 6° anno di vita.
La formazione successiva, preliminare ad eventuali studi universitari, DEVE contenere anche un minimo di indirizzo professionale correlato a quanto richiede il mondo del lavoro, perché solo una parte degli studenti avranno accesso alla formazione universitaria, per attitudine propria, limiti cognitivi, limitazioni economiche di varia natura o correlate alla storia familiare, ecc. Chi esce dai nostri licei, e per qualsiasi motivo non prosegue negli studi universitari, è potenzialmente un cittadino perduto, sotto il profilo formativo, destinato ad essere sotto impiegato, sottopagato, emarginato, pronto ad ingrossare le fila del precariato, già ben nutrite da persone dotate di qualifiche anche universitarie.
Perciò i programmi scolastici dei licei debbono gradualmente cambiare, per essere sostituiti da sistemi formativi all’altezza dei tempi, che prevedano l’approfondimento delle conoscenze informatiche, e molto altro ancora. La NUOVA Scuola, che forse non è la “buona scuola del PD”, è tutta da inventare con uno sforzo congiunto delle forze sociali, mondo del lavoro, imprese, mondo della scuola.
Ma QUALI SCUOLE e CHI PAGA ? Oggi esiste la scuola pubblica, di Stato, e la scuola paritaria, privata, ma non del tutto, visto che riceve finanziamenti statali. Dovrebbe valere anche in campo sanitario, e deve valere per la scuola : genitori ed allievi debbono poter scegliere la scuola che preferiscono, con costi di accesso diversificati, ed una offerta formativa diversificata. Il CHI paga deve essere, congiuntamente, lo Stato, con un assegno di studio congruo, e la famiglia, in base alle sue disponibilità economiche. Significa scuole per ricchi e scuole per poveri ? No, ma in parte si, perché anche adesso la scuola paritaria, non pubblica, non è per tutte le tasche.
Dunque cosa cambia ? Cambia il MODO, perché a questo punto TUTTE le scuole sarebbero paritarie, per davvero, ed in competizione tra loro, per offrire la migliore formazione al miglior prezzo. Il tutto con un “congruo” sostegno economico alle famiglie, abbastanza da sostenere una scuola di qualità senza dover integrare la retta. Infatti la scuola pubblica attuale NON è gratuita ! Si paga con le tasse di tutti.
Si tratta di redistribuire il medesimo costo, o superiore, come assegno di studio alle famiglie, correlandolo anche al profitto negli studi dei loro ragazzi. Niente assegni per far scaldare i banchi ! Basta con gli insegnanti “di ruolo” oppure precari ! Tutti impiegati di strutture private, pagati in base alla qualità del loro insegnamento, oppure rispediti a casa, se inadeguati.
E poi gli studi universitari : borse di studio ai meritevoli ? Dipende. Ci sono studi universitari che sono quasi fine a se stessi.
Fanno cultura, e ben vengano, ma sono anche un lusso, se poi non trovano una collocazione professionale, e spesso è così : le troppe lauree in “scienza” della comunicazione, psicologia, lettere ed altro ancora sono un lusso per ricchi. Il “povero” studia ingegneria, medicina, chimica, matematica ed informatica, biologia molecolare, farmacia, ed altre lauree che abbiano un concreto sbocco professionale, in Italia o all’estero. Anche qui il “diritto allo studio” va declinato. Lo stato può, e deve, investire nella formazione professionale dei suoi giovani, ma solo per le lauree con concreti sbocchi professionali e non inflazionate (come Legge). Le università si debbono finanziare da sole, con le rette universitarie, anche salate, se servono a coprire i costi della qualità formativa e del prestigio nazionale ed internazionale.
Costi a carico delle famiglie che possono permetterselo, ma con borse di studio, limitate per destinazione ed importo, per i ragazzi di valore accertato che NON possono permetterselo.
INVESTIRE sui giovani significa investire sui talenti, non sui mediocri.
10. L’Italia in Europa : Il dato di fatto dell’unità europea
I popoli europei di oggi sono il prodotto di oltre 2000 anni di Storia, una storia di conflitti, di migrazioni, di evoluzione culturale che nasce nella Grecia antica per poi estendersi su tutto il continente attraverso l’Impero Romano, senza estinguersi dopo la sua caduta, ma trasformandosi con la progressiva partecipazione dei popoli nordici ad un processo nato nel cuore del mediterraneo.
L’Europa esiste come entità storica, etnica e culturale a sé stante, a prescindere dai modi della sua evoluzione, dalle lingue parlate, dalle diverse abitudini consolidate di popoli che hanno in comune più cose di quante invece li distinguano tra loro. A questa unità europea di fatto non sono estranei l’aspetto religioso che ha caratterizzato l’Europa con la nascita e lo sviluppo del cristianesimo, che le ha impresso una caratteristica culturale propria, ben distinta da quella asiatica o africana, come non sono estranee le influenze determinanti della cultura greco-romana ed anche di quella araba, per un certo periodo, che hanno posto le basi di una scrittura comune e di una matematica comune.
L’UNITA’ EUROPEA è un dato di fatto, è va ben oltre quella politica. La Brexit non rende gli Inglesi, solo per questo, estranei all’Europa : restano europei a tutti gli effetti. Un sguardo sereno al resto del mondo è sufficiente a farci rendere conto della differenza che ci distingue dai popoli degli altri continenti, senza voler con questo dare giudizi di merito, ma volendo semplicemente esprimere una IDENTITA’ NAZIONALE EUROPEA di fatto, fondata su ragioni storiche, etniche e culturali, una identità che precede ‘unità politica, ed è indipendente da questa.
L’aspetto politico dell’unità europea, espresso oggi dalla spesso contestata FORMA che gli stati europei emersi dal ‘900 si sono dati, è quasi secondario rispetto al SENTIMENTO di appartenenza che deve coinvolgere tutti i popoli europei quando, confrontandosi con quelli degli altri continenti, possono affermare: NOI SIAMO EUROPEI, qualsiasi cosa questo possa o voglia significare.
Oggi il sogno europeista è a portata di mano. Oggi un’Europa dei popoli europei, capace di superare gradualmente la rigida struttura dei vecchi stati nazionali è possibile, è a portata di mano.
L’OPPORTUNITA’ DELL’UNIONE POLITICA EUROPEA
Molti si chiedono se un’unità politica europea sia desiderabile, oppure no. Bisogna capire DI CHE COSA stiamo parlando.
All’interno degli attuali stati nazionali esistono spinte autonomiste di alcuni territori che, per le loro caratteristiche geografiche, economiche, linguistiche o anche storiche, ritengono di avere diritto ad un’amministrazione completamente autonoma.
Basti pensare alla Scozia, ma anche al Galles, nel Regno Unito, alla Catalogna ed ai paesi Baschi in Spagna, all’Alto Adige in Italia, alla distinzione tra Fiamminghi e Valloni in Belgio, e forse anche in Germania esistono ambizioni autonomistiche dal potere centrale.
Queste tensioni sembrano esprimere un’esigenza opposta a quella di una sola Grande Europa; non è così : è vero il contrario.
Le spinte autonomistiche inducono alla frammentazione territoriale, che porta il governo del popolo più vicino al popolo, e questa è una aspirazione fondamentale della democrazia. La frammentazione, sulla base delle proprie specificità, non ha virtualmente alcun limite e questo fa comprendere come una frammentazione spinta possa e debba essere controbilanciata da una UNIONE FORTE di questi frammenti, finalizzata verso gli interessi comuni che il singolo frammento non è in grado di sostenere con le sue sole forze.
Una UNIONE POLITICA EUROPEA trova il suo moderno significato nell’unione dei tanti frammenti che la compongono, e che danno all’Europa quella ricchezza di contenuti umani e storici che la contraddistingue.
Il superamento graduale dei vecchi stati continentali per costruire l’Unione dei popoli europei è un percorso, non privo di ostacoli, ma possibile, meno difficile se si abbandona la vecchia concezione imperiale di una Europa che IMPONE a favore di un’Europa che UNISCE le specificità, assumendosi un ruolo esclusivamente FEDERALE, con attribuzioni politiche proprie di un grande stato federale, rinunciando a priori ad occuparsi di tutto quello che può essere agevolmente svolto in ambito territoriale.
Ciò che va messo a fattor comune in fondo non è molto, ma pesa molto.
Parliamo di quanto sin qui già messo in atto, come la libera circolazione delle merci e delle persone, la moneta unica europea, con una sola politica monetaria, ma anche un sistema di difesa comune europea, perché un sistema di difesa deve esistere.
E questo implica anche una politica estera comune, frutto di una volontà di coordinamento degli interessi dei vari territori al di fuori dei confini europei, perché aver voluto superare i conflitti interni all’Europa implica necessariamente che tali conflitti potenziali non abbiano l’occasione di riprodursi al di fuori dei suoi confini.
Implica anche una politica di progressiva convergenza delle regole per l’amministrazione della Giustizia, perché non può esistere una Giustizia “territoriale”, non può essere che i cittadini europei siano “diversi” di fronte alla legge in funzione del territorio in cui risiedono. Ed implica una politica comune nei confronti dell’immigrazione, perché la libera circolazione delle persone impone a TUTTI i territori europei regole ferree e strumenti idonei a fronteggiare il fenomeno dei nostri tempi, che va governato insieme, per evitare che diventi distruttivo.
Va invece ridimensionata l’ARMONIZZAZIONE delle regole in numerosi altri campi della vita economica e civile comunitaria laddove interferiscono con l’autonomia e la specificità dei territori. Popoli liberi in una libera Europa. Popoli sovrani in un’Europa federale, sovrana nel suo insieme, nei confronti del resto del mondo.
LE DIFFERENZE POLITICHE E LE FORME DELLA DEMOCRAZIA
Occorre ricordare che i popoli europei sono, ciascuno al suo interno, politicamente divisi, sul piano ideologico.
La politica si esprime attraverso diverse visioni del mondo, di estrazione cristiana, marxista, socialdemocratica, liberale …
Il peso delle varie componenti è diverso nei diversi territori. Il governo della futura Federazione dei popoli europei presenta un problema di rappresentanza, perché il Parlamento comunitario deve essere espressione rappresentativa di tutti i diversi popoli europei e le singole espressioni politiche territoriali non sono facilmente assimilabili tra loro, in quanto espressione di politiche locali. Ma una NUOVA EUROPA FEDERALE è chiamata ad esprimere il governo dei soli pochi elementi a carattere federale, come politica monetaria, difesa, politica estera, giustizia, immigrazione.
Anche su questi pochi temi è possibile dividersi, ma su questi soli è pensabile che si possano formare delle aggregazioni politiche sovra territoriali, che esprimano una propria visione comune, con formazioni politiche interamente distinte da quelle che guardano ai singoli territori. Pensare ad una vera EUROPA UNITA su base federale significa andare oltre gli attuali meccanismi di rappresentanza europea, costituiti dalla Commissione e dal Parlamento europeo, eletto attraverso raggruppamenti ideologici un poco forzosi (PPE, PSE, ALDE ed altri).
Occorre rifondare la rappresentanza politica europea su basi nuove, con formazioni politiche di respiro europeo aggregate in base ad una visione indirizzata ai soli temi di competenza dell’Unione.
Si tratta di una strada obbligata verso una Unione coesa, con una rappresentanza concentrata nel suo Parlamento ed un Governo ed una Presidenza europee funzionali ad uno stato federale, come la Svizzera.
Il Governo d’Europa non può essere il prodotto delle scelte dei governi dei vecchi stati nazionali in obsolescenza, bensì il risultato di una scelta popolare diretta, di un Parlamento europeo davvero rappresentativo dei popoli d’Europa, a cui sia demandata la responsabilità della scelta dei suoi uomini migliori per il Governo e la Presidenza della Federazione dei popoli europei.
E’ venuto il tempo del coraggio delle GRANDI SCELTE, non più rinviabili. L’Unione Europea così come è congegnata oggi non convince più nessuno. Serve un cambio di passo, una SVOLTA EUROPEA, una rinuncia alla sovranità nazionale su pochi grandi temi comuni, ed un recupero di sovranità su tanti altri di cui adesso l’Unione si occupa a sproposito.
Ed occorre superare definitivamente l’Europa del DEBITO, con una coraggiosa operazione di ristrutturazione del debito degli stati membri, istituendo l’obbligo per gli stati di potersi indebitare solo e soltanto con la Banca Centrale Europea, con funzioni rinnovate di autentica Banca centrale della Federazione.
Il credito bancario deve tornare ad essere un rapporto diretto tra banche, cittadini ed imprese. Non deve più esistere un rapporto di debito/credito tra banche e Pubblica Amministrazione. La Pubblica Amministrazione in Europa deve spendere i soldi che ha, non quelli che NON ha, e se di credito c’è bisogno per finanziare opere infrastrutturali, ma solo quelle, non la spesa corrente, lo si faccia attraverso BCE, la sola istituzione bancaria europea autorizzata a battere moneta.
La Pubblica Amministrazione dispone della fonte di reddito fiscale, e su quella soltanto deve basare la sua capacità di spesa. Una tale impostazione fa cadere automaticamente ogni possibile conflitto tra il governo centrale europeo e gli stati sul rapporto debito/PIL e sul rientro del debito pubblico.