RISPARMIO ENERGETICO E CONTABILIZZAZIONE DEI CONSUMI INDIVIDUALI
La nostra epoca è caratterizzata, tra le tante cose, anche dalla necessità di risparmiare energia prodotta dalla combustione di fonti fossili, sia per non esaurire tali riserve troppo in fretta, sia per limitare l’inquinamento ambientale derivante dalla combustione di tali fonti.
L’Unione Europea ha posto un obiettivo di risparmio pari al 20% tra i consumi del 2010 e quelli del 2020. Significa che, in progressione, nel 2020 gli europei dovrebbero consumare soltanto lo 80% dell’energia da fonti fossili consumata nel 2010. La Direttiva europea 2012-27 tuttavia non si limita a questa indicazione generale ma scende più in dettaglio stimolando la formulazione di norme di recepimento a carattere nazionale, come quelle espresse nel DL n. 102-2014.
Questa legge pretende di IMPORRE a tutte le utenze private dei criteri univoci di controllo e ripartizione dei consumi termici individuali, senza neppure fissare, come sarebbe naturale, un obiettivo di risparmio energetico congruente con la direttiva europea. In altre parole : la legge NON dice di quanto debbano scendere i consumi energetici delle unità abitative nel periodo 2010-2020 ma presume una generica discesa dei consumi grazie ad un addebito dei costi individuali più rispondente, in ipotesi, all’attitudine di risparmio o di spreco di calore dei singoli utenti. Come dire che tutte le abitazioni siano sovrariscaldate e che consentire a qualcuno di pagare meno rinunciando ad alcuni gradi di temperatura sia il modo per ridurre (ma di quanto?) i consumi complessivi. In realtà negli stabili condominiali è normale avere unità abitative tendenzialmente fredde ed altre tendenzialmente calde, per problemi di esposizione, dimensione dei radiatori, ecc.
Ora: se è VERO che il consumatore ha il diritto di avere 20°C in casa per il periodo dei sei mesi di riscaldamento consentiti, non è forse questa temperatura ambiente che va controllata a distanza e contabilizzata ai fini della ripartizione dei costi di riscaldamento ? Non è forse vero che l’utente dovrebbe pagare il costo per mantenere a +20°C la sua volumetria d’ambiente, a prescindere dall’esposizione dei locali, con eventuali interventi migliorativi della distribuzione del calore nei singoli immobili ?
Significherebbe che ciascun utente pagherebbe un medesimo importo per ogni m3 di volumetria del suo appartamento, se tenuto alla temperatura costante, monitorata a distanza, di +20°C. Se poi le esigenze di temperatura individuali fossero superiori, grazie alla registrazione della temperatura ambiente l’utente potrebbe pagare di più rispetto ad altri, oppure di meno, se si accontentasse di +18°C invece di +20°C.
Oggi invece si pretende di spacciare per legge dei rubinetti per i radiatori, chiamati impropriamente “valvole termostatiche” unitamente a dei termometri digitali WI-FI senza indicatore di temperatura, montati direttamente sui radiatori, per registrare quindi non la temperatura ambiente ma quella superficiale dei radiatori. Se invece venisse adottato il criterio sopra descritto, i costruttori potrebbero continuare a vendere i loro termometri WI-FI con installazione a parete, non sul radiatore, rinunciando soltanto agli inutili rubinetti “cosiddetti termostatici” ma non al resto. Quindi anche il “danno economico” al settore termotecnico sarebbe marginale.
Il VERO risparmio energetico dello stabile non ha nulla a che vedere con la ripartizione, essendo determinato da infissi isolanti e, dove possibile, da migliore isolamento delle pareti dello stabile, oltre che da impianti di produzione del calore (centrale termica) più moderni ed efficienti, integrati, dove possibile, da sistemi di produzione di energia solare e più raramente eolica.
Ing. Franco Puglia – 25 Aprile 2017