10 Novembre 2025

Che si tratti di una tragedia è fuori discussione, mentre sulle cause e sulle responsabilità di questa tragedia il dibattito è aperto, senza fine, divisivo, a tratti violento. Genocidio ! Se esistesse una parola di condanna ancora più violenta e definitiva sarebbe stata usata. Nessuno sa cosa voglia dire veramente questo termine, ma non importa: ciascuno lo usa a suo piacimento, ONU inclusa. Le radici etimologiche della parola non importano a nessuno. Genocidio, però, significa eliminazione sistematica di una RAZZA umana, ma siccome le razze umane non esistono, ma esistono sollo le ETNIE, allora la si può usare impunemente. Peccato che etnia derivi dal greco antico “éthnos” che originariamente indicava un gruppo di persone unite da una comune discendenza, cosa che non coincide con l’aspetto genetico di un insieme di persone, se non in parte, nelle popolazioni antiche, isolate per secoli dalle altre sul pianeta. La vituperata parola “razza”, invece, ha a che vedere con l’aspetto genetico di un individuo, che può includere diverse etnie, accumunate tuttavia da elementi genetici comuni.

Il caso di Gaza e dei suoi abitanti non ha nulla a che vedere con queste categorie: infatti si tratta di una popolazione araba e musulmana, indistinguibile dalle altre popolazioni arabe dell’area, una popolazione che parla l’arabo, scrive in arabo, ed ha in comune la medesima religione fondata da Maometto. Quindi il massacro di Gaza si può definire sterminio, ma certo non genocidio, che sarebbe la distruzione sistematica, organizzata, di TUTTA la popolazione araba nordafricana. Non è un genocidio ma resta una tragedia umana di immani proporzioni.

Perché accade? Come conseguenza non tanto e non solo della strage di cittadini israeliani compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023, ma anche e soprattutto come strategia di annientamento definitivo di questa organizzazione terroristica araba, Hamas, e del suo retroterra logistico e di sostegno umano: Gaza e la sua gente.

Giova ricordare che l’attacco di Hamas a Israele del 2023, ovvero Operazione Diluvio al-Aqṣā, è consistito in una serie di attacchi di gruppi armati, provenienti dalla Striscia di Gaza, con conseguente uccisione di 1200 civili e militari israeliani, e nel rapimento di circa 250 di questi, avvenuto il 7 ottobre 2023 nel territorio di Israele, pianificato ed operato da Hamas, con il sostegno di altre milizie palestinesi. In un solo giorno, 859 civili israeliani, 278 soldati (307 secondo altre fonti) e 57 membri delle forze dell’ordine sono stati uccisi in località, kibbutz e basi militari nei dintorni della Striscia di Gaza. I miliziani di Hamas hanno attaccato anche un festival musicale, il Nova festival, a cui partecipavano all’incirca 3000 giovani, uccidendo 364 partecipanti e rapendone 44.
Circa 250 persone, di cui circa 30 bambini, sono state rapite e portate come ostaggi nella Striscia.
Sono stati segnalati numerosi casi di stupri e violenze sessuali contro donne israeliane.
Giova anche ricordare che Israele è stato oggetto di un violento attacco missilistico con ordigni provenienti da Gaza, in mano ad Hamas, forniti dagli Iraniani, sostenitori non tanto occulti del terrorismo gazawo. Una pioggia di missili su Israele, intercettati in buona parte dal sistema di difesa Iron Drome, ma che in molti casi hanno bucato le difese anti-aeree provocando morti e feriti.

Da quella fatidica data del 2023 si è scatenato l’inferno in Medio Oriente, con attacchi e contrattacchi israeliani, in provenienza da tutte le fonti arabe radicalizzate contro Israele: Gaza, Libano, Yemen, Iran. La risposta israeliana è stata sempre durissima, rivolta contro obiettivi militari e contro gli esponenti direttivi di queste forze islamiche radicalizzate, ma ha fatto anche numerose vittime tra i cosiddetti “civili”, frammisti ai miliziani del terrore e da questi indistinguibili, anche sotto il profilo logistico, visto che i miliziani messi alle strette si sono rifugiati in mezzo alla popolazione civile facendosene scudo improprio.

E tutto questo a cosa ha portato? Ad una condanna quasi unanime di Israele da parte del mondo arabo, ovviamente, ma anche del mondo occidentale, di quello teoricamente a fianco degli israeliani, vittime del terrorismo arabo sin dai tempi della fondazione dello stato di Israele dopo il 1945. Le parti si sono rovesciate: Israeliani aggressori ed arabi di Gaza vittime di un genocidio. E più il tempo passa più questa posizione diventa diffusa a tutti i livelli popolari come politici, dove la politica segue gli umori popolari, nel timore di perdere consenso, invece di orientare con una corretta informazione le masse elettorali.

La condanna è rivolta al massacro della popolazione civile, in testa donne e bambini, ma anche “civili” innocenti, che chissà dov’erano durante tutti questi anni, mentre Hamas, cioè una parte di loro, non “altri”, prendeva il potere e faceva a Gaza il bello ed il cattivo tempo. Una massa informe di gente senza arte né parte, o quasi, che è vissuta per decenni solo e soltanto di ingenti aiuti internazionali, alcuni dei quali condizionati di fatto, anche se non palesemente, al sostegno della lotta contro Israele, condotta per procura dai gazawi, non esponendo direttamente gli altri stati arabi della regione. Attivisti anti-israeliani comunque travestiti, anche con il berretto dell’ONU, e di altre organizzazioni “umanitarie”, motivate da lucro personale (finanziamenti di terzi) e da convinzioni ideologiche, non necessariamente antisemite.

La politica internazionale, di fronte alla oggettiva sofferenza della popolazione di Gaza, mettendo nel cassetto ogni riferimento alla cause profonde e lontane del conflitto, e dimenticando cosa sia stata Gaza nel corso di tanti anni, come si sia armata a spese degli aiuti internazionali, come non abbia fatto alcuno sforzo per diventare una comunità umana autonoma e pacifica nella regione, insiste nella favola del “due popoli e due stati”, una prospettiva che Hamas e suoi fiancheggiatori ha sempre rifiutato perché il suo obiettivo era la distruzione di Israele, la sua sparizione dalla faccia della terra, e la formazione di un UNICO stato arabo di Palestina, sotto il loro controllo.
Ma Gaza era già uno STATO, nei fatti, se non di diritto, amministrando una enorme quantità di soldi provenienti
da ogni parte, destinati alla costruzione di bunker armati sotterranei, postazioni per il lancio di missili ed abitazioni, anche, per la popolazione locale. Questo “Stato di fatto e non di diritto” ha avuto come solo sbocco la guerra terroristica ad Israele, a cui Israele sta rispondendo con l’annientamento fisico di Gaza, che viene rasa al suolo.
E la politica imbelle parla ancora di “due popoli e due stati”? E si vuole riconoscere uno “stato palestinese” che non esiste? Il riconoscimento internazionale va agli stati che sono visibilmente tali, disponendo di un territorio proprio, di una identità propria, storicamente costruita, di infrastrutture istituzionali visibili e riconoscibili e di interlocutori politici credibili, perché emersi da un sostegno popolare, democratico o populista che sia.
La chiacchiera dei politici di tutta Europa con tanta parte del Parlamento Europeo a favore di questa insensatezza è sconcertante.

La destinazione della popolazione di Gaza, in esodo forzoso dal territorio sin qui occupato, è un problema reale, che va affrontato in chiave realistica, non con gli slogan campati in aria. Gaza è un cumulo di macerie che resterà un deserto per molto tempo, e non esiste un altro territorio dove i profughi possano ricostruire una loro “patria”, se mai ne hanno avuta una. Stiamo parlando di ARABI, musulmani, che parlano arabo, indistinguibili dagli altri arabi della regione. Alcuni, quelli che hanno davvero subito Hamas, potrebbero persino diventare israeliani, col tempo, perché la popolazione di Israele non è costituita solo da ebrei. Gli altri ha senso che si spostino, e vengano accolti, un poco da tutti i paesi arabi dell’area, cominciando finalmente a LAVORARE per se stessi e per gli altri, mettendo fine alla loro condizione di fardello sociale che hanno impersonato sino ad oggi. La soluzione è nelle mani del mondo arabo: non ha senso che questa gente, araba e musulmana, venga smistata in Europa o altrove, perché fanno parte integrate dei popoli che occupano l’Egitto, la Siria, la Giordania, gli Emirati arabi, ecc, ecc.
E sono proprio i loro fratelli arabi che non si mostrano disposti ad accoglierli, temendo di mettersi in casa un veleno, capace di minare alla base le già fragili fondamenta delle loro comunità. Ma questa è la sola soluzione possibile e di buon senso, che va magari facilitata con aiuti economici euro-americani verso i paesi meno ricchi dell’area, perché alcuni tra loro, che navigano sul petrolio, dispongono di tutte le risorse economiche necessarie: è tempo che le destinino a qualcosa di umanamente produttivo invece che al loro lusso personale.

Gaza verrà rasa al suolo da Israele, e resterà a lungo un deserto arido, come era forse nelle origini. Israele avrà quindi ottenuto il risultato a cui mira da sempre? L’eliminazione del terrorismo arabo e la pacificazione della regione? Purtroppo no. Forse non riuscirà neppure ad uccidere TUTTI i miliziani di Hamas, e comunque ne nasceranno altri, a rimpiazzare i morti, perché Israele non può uccidere TUTTI i palestinesi arabi, uomini, donne e bambini. E molti tra questi, ovunque andranno, si radicalizzeranno, e diventeranno i terroristi delle nuove generazioni, quale che sia il nome che si daranno, sia esso Hamas o uno diverso. Non hanno molta scelta: i “fratelli” arabi sono ostili. Se verranno accolti saranno guardati con sospetto, forse emarginati.
Che sbocco resta? La memoria di questi anni di sangue non si potrà cancellare, neppure nei bambini.
Resterà soltanto l’odio, profondo, radicato, insopprimibile. Ma anche mettendo da parte le “vittime” della vendetta ebraica, le cose saranno difficili per Israele, sia nei rapporti con i paesi della regione e con il mondo musulmano in genere, sia con gli europei. Le fratture profonde si saldano solo col tempo, ma ci vuole MOLTO tempo, e mentre il tempo passa i nemici giurati degli ebrei non resteranno con le mani in mano, e passeranno nuovamente all’azione, in una faida infinita, di cui non si vede l’orizzonte.

Ing. Franco Puglia

17 settembre 2025

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