IL VALORE GIURIDICO DEL DPCM
Il decreto ministeriale (DPCM) non costituisce fonte del diritto autonoma, bensì veste formale attribuita ad una fonte secondaria (regolamento), emanato da un Ministro nell’ambito della competenza del suo dicastero.
Il potere regolamentare attribuito al Governo è disciplinato dall’art. 17 della Legge 23 agosto 1988, n. 400 che costituisce la fonte attributiva di detto potere, sulla base del sistema delle fonti disciplinato dalla Costituzione, potere che non può essere esercitato in difetto di una specifica attribuzione di rango primario (ossia di legge ordinaria).
I regolamenti emanati nella veste di decreti ministeriali non possono quindi derogare, quanto al contenuto, né alla Costituzione, né alle leggi ordinarie sovraordinate.
Per identico motivo, le norme regolamentari non possono avere ad oggetto incriminazioni penali, stante la riserva assoluta di legge che vige in detta materia (art. 25 della Costituzione).
I regolamenti governativi in senso proprio vengono emanati con Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.), previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato (obbligatorio ma non vincolante). Essi sono inoltre sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.
I regolamenti adottati con decreto ministeriale invece sono emanati dai singoli ministri e comunicati al Presidente del Consiglio prima dell’entrata in vigore.
Qualora l’organo emanante sia lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri, il regolamento viene emanato nella forma di Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.). Il decreto ministeriale, quindi, pone norme tecniche di dettaglio, finalizzate all’attuazione di una data norma di legge. Il decreto ministeriale non va confuso con il decreto legislativo, che è invece un atto avente forza di legge emanato dal Governo nel suo insieme a seguito di una legge di delega parlamentare.
Ing. Franco Puglia
19 aprile 2020