IL PROBLEMA DELLE PENSIONI E DI INPS

Il tema è ricorrente, anche se adesso è soverchiato dai temi drammatici della politica internazionale. In Italia il trattamento pensionistico previdenziale, ma anche quello assistenziale, viene fornito da INPS, cioè dallo Stato, attingendo ad una contribuzione obbligatoria sui redditi da lavoro, che pesa molto sul reddito individuale, riducendo quanto resta dal reddito lordo, al netto di tasse e contribuzione.
Il sistema nacque calcolando il reddito di pensione sulla base del reddito degli ultimi anni di contribuzione del lavoratore, prima di superare l’età pensionabile minima.
Normalmente i redditi partano da una base bassa in età giovanile, per poi aumentare con lo sviluppo della professionalità e della posizione lavorativa, sino all’atto del pensionamento.
Decenni fa il reddito da pensione era quindi proporzionato al reddito del lavoratore in quel periodo storico, ed attingeva alla contribuzione da parte dei redditi dei lavoratori non ancora pensionabili, redditi allineati con quelli di chi andava in pensione.
Questo sistema è stato molto criticato, in seguito, ed è stato poi gradualmente sostituito da un sistema di calcolo del trattamento pensionistico su base contributiva, in base cioè ai contributi versati dal lavoratore, per quanti anni e per quali importi.
Questo sistema, in apparenza, appare più equo: ti restituisco, spalmato su sulla tua aspettativa media di vita, quanto tu hai versato nel corso della tua vita contributiva.
Col sistema retributivo, invece, contava di più il peso economico del tuo punto d’arrivo, trascurando da dove eri partito, e quanto avevi versato nel corso degli anni.
Questo sistema si prestava anche a truffe più o meno palesi, perché il reddito degli ultimi anni di lavoro poteva venire alterato, di comune accordo, tra datore di lavoro e lavoratore, per favorire una uscita ben retribuita, come trattamento pensionistico, del lavoratore dall’azienda.
Il passaggio tra un sistema e l’altro ha avuto luogo gradualmente, con un periodo in cui il calcolo è stato fatto in forma mista.
Trasparenza nel calcolo delle pensioni con i diversi sistemi? In caduta libera.
In origine tu sapevi che saresti andato in pensione dopo 35 anni di lavoro, accumulando il 2% all’anno, e quindi con una pensione pari al 70% dell’ultimo reddito percepito.
Era una certezza: un obiettivo chiaro, un calcolo da scuola elementare.
Col passare del tempo, scaricando su INPS ogni genere di altro trattamento previdenziale fallimentare, i bilanci dell’INPS sono andati a rotoli, lo Stato ha dovuto integrare le entrate previdenziali correnti con versamenti attinti dalla contribuzione generale dello Stato, e il numero dei pensionati è aumentato a dismisura, mentre la base lavorativa e contributiva si è ridotta. Conseguenza: passaggio al sistema contributivo ed innalzamento dell’età pensionabile e degli anni di contribuzione.
Non entro nel merito dei dettagli del sistema come si presenta oggi: non è rilevante ai fini del discorso che sto facendo. Voglio solo segnalare che il sistema originario, bistrattato da tutti quelli che oggi sono entrati in pensione col sistema contributivo, o che lavorano ancora con una prospettiva pensionistica lontana nel tempo, basata su oltre 40 anni di contribuzione e su un’età pensionabile molto tardiva, ignorano, comprensibilmente, il contesto in cui il sistema originario funzionava.
Eravamo nell’Italia della LIRA, non in quella dell’Euro, e l’inflazione era a due cifre, sempre, e la Lira si svalutava periodicamente, quindi quello che versavi come contribuzione, dopo 35 anni, NON VALEVA PIU’ NIENTE !
Era servito a pagare le pensioni dei tuoi predecessori, in quel momento, attingendo dal monte dei versamenti previdenziali del momento.
Ma siccome lavoravamo IN TANTI e contribuivamo IN TANTI, il sistema stava in piedi.
Ma aveva senso che il trattamento pensionistico di ciascuno NON fosse correlato ai versamenti fatti, bensì al reddito finale, prima di entrare in pensione. Altrimenti su che base lo facevi? Attualizzando i versamenti? Con inflazione a due cifre e svalutazioni monetarie?
Oggi l’inflazione non è più a due cifre, anche se la fiammata di questi ultimi anni la ha portata per un tempo limitato a valori da paura. Esiste un calcolo contributivo con attualizzazione dei versamenti, che nessuno conosce, e su cui è meglio sorvolare.
In assenza di inflazione, il metodo di calcolo contributivo sarebbe perfetto: riceverai sulla base di quanto hai versato, soldi che valgono oggi come 30 o 40 o più anni fa.
Un risparmio svincolato e distribuito sulla tua aspettativa media di vita, come con una compagnia privata di assicurazione previdenziale.
Solo che l’inflazione su 40 e più anni dei pensionamenti attuali NON è pari a zero.
E la base contributiva di chi lavora è bassa, rispetto alla massa dei pensionati che supera i 16 milioni di individui. E la politica, invece di defiscalizzare significativamente a livello IRPEF, defiscalizza sulla contribuzione previdenziale, per ridurre il “cuneo fiscale”, e lo fa anche per categorie di lavoratori, non per tutti, riducendo ulteriormente la base contributiva.
Senza conguaglio statale dalla fiscalità generale il sistema non si regge.
Ecco che, a questo punto, comprendiamo come il sistema attuale sia FRAGILE ed INSTABILE. Il sistema è esposto all’inflazione, che svaluta i contributi previdenziali pregressi e costringe INPS a rivalutazioni tutto fuor che trasparenti.
Chi lavora non ha un punto d’arrivo prevedibile con certezza, né in termini temporali né di reddito futuro. Quindi COSA si può fare?
La mia proposta di riforma previdenziale è ormai datata, quanto ignorata, non avendo i mezzi per raggiungere chi ha il potere di prenderla in considerazione.
Si basa sulla semplice osservazione della realtà:
1. Ogni anno abbiamo un volume di entrate previdenziali che dipende dal numero di lavoratori ancora in campo e dai loro redditi.
2. Ogni anno ciascuno di questi lavoratori versa una cifra che esprime una piccola percentuale dei versamenti complessivi.
3. Immaginando che i versamenti complessivi confluiscano in un FONDO COMUNE, è come se ciascuno acquistasse, con i suoi versamenti, una quota di quel fondo.
4. Dopo 40 anni, poniamo, ciascun lavoratore avrà contabilizzato 40 quote di quel fondo pensionistico INPS. In quel momento, i lavoratori in campo verseranno ad INPS i loro contributi, raggiungendo per quell’anno un certo ammontare X.
5. Quelli sono i fondi previdenziali disponibili: valgono X, e tutti i pensionati del momento possono ricevere la loro quota di X in proporzione alla loro quota cumulata.
In quell’anno quella sarà la loro pensione; negli anni successivi potrà essere maggiore o minore, secondo il valore corrente di X ed il numero corrente di pensionati ancora in vita, e di lavoratori appena entrati in pensione.
Una pensione VARIABILE NEL TEMPO, funzione del numero di persone che lavorano e del reddito che sono capaci di produrre, quindi una pensione che si riduce, se il Paese si impoverisce, che sale, se il Paese si arricchisce. Un sistema SEMPRE in equilibrio.
Questa mia proposta presuppone innanzi tutto una SEPARAZIONE NETTA della gestione previdenziale da quella assistenziale. DUE INPS DISGIUNTE: una per la previdenza ed una per l’assistenza. I trattamenti pensionistici, poi, possono anche, volendo, venire integrati dallo stato, dalla fiscalità generale, come accade adesso, vuoi per sostenere le condizioni più disagiate, vuoi per scaricare su una collettività più ampia di quella dei soli lavoratori il peso del trattamento pensionistico. Ma è una scelta politica separata e trasparente.
La BASE deve essere autoreggente, intrinsecamente stabile, e questo è il solo modo possibile, il solo che compensa automaticamente ogni livello di inflazione, il solo che sia fondato sulla solidarietà inter generazionale che è DOVUTA tra figli e genitori, come prima lo è stata tra genitori e figli, perché i giovani di oggi sono tali grazie allo sforzo economico a loro favore da parete dei genitori, delle generazioni che li hanno preceduti.
I lavoratori di oggi (giovani) restituiscono ai genitori, con la contribuzione previdenziale, quello che hanno ricevuto senza rendersene conto in tutto il periodo del loro sviluppo.
Se invece ci piace il caos, nel quale ormai anneghiamo da decenni, in ogni ambito della vita collettiva, allora andiamo avanti così, verso la nostra immancabile rovina.
Ing. Franco Puglia
18 aprile 2025