23 Aprile 2024

Le politiche “verdi” nascono da lontano, sulla scorta dello sviluppo di movimenti d’opinione ostili all’impiego massiccio dei combustibili fossili, petrolio in particolare, per sostenere il nostro sviluppo tecnologico ed industriale, ma anche civile, nel campo dei trasporti e della climatizzazione domestica.
L’ostilità verso l’impiego dei combustibili fossili più che col carbone prende forma pubblica con il petrolio. Perché?
Perché il petrolio imprime una svolta in accelerazione, impensabile, prima, col solo carbone, e determina una concentrazione di potere e ricchezza mai vista nelle mani di pochi paesi produttori e, soprattutto, nelle mani delle industrie capaci di sfruttare i giacimenti: le famose 7 sorelle, in prevalenza americane, e l’OPEC.
Già questo basta ed avanza per determinare ostilità diffuse verso questi produttori un poco monopolistici, ma a questo si aggiungono anche i danni collaterali della produzione petrolifera, a causa dei non pochi incidenti, con sversamenti di greggio su terra ma anche in mare, nel corso del trasporto verso le diverse destinazioni, con catastrofi ecologiche di grande portata e che lasciano una profonda impressione sull’opinione pubblica.

Poi inizia ad emergere il tema dell’inquinamento dell’aria, oltre che delle acque, già presente a dismisura nell’epoca in cui si bruciava carbone, e non ancora petrolio, unitamente alla legna secca, di gran lunga il combustibile più inquinante di tutti.
Il fumo nero che rivestiva i grandi conglomerati urbani non creava, però, allarme sociale. Era “normale”, faceva parte del vivere.
Ma con l’avvento del petrolio il fumo nero assume anche una connotazione politica: non è più nero di quello da carbone, ma forse è aumentato il consumo globale di entrambi, e la qualità dell’aria si è deteriorata sensibilmente.
La lotta politica animata dallo spirito antiamericano ed anticapitalista, dopo il 1945, determinata dal vento rosso della sinistra internazionale in epoca di guerra fredda USA-URSS imprime una spinta ideologicamente motivata a movimenti di persone che si definiscono VERDI e che auspicano un abbandono dei combustibili fossili ed un ritorno alla natura, compromessa dagli interessi delle cattive multinazionali del petrolio.
Anche le impennate dei prezzi del greggio, le restrizioni alla produzione decise da alcuni produttori OPEC, le “austerity” petrolifere conseguenti, fanno dire che occorre liberarsi dalla schiavitù del petrolio, cioè dai suoi produttori, per approdare al nuovo EDEN verde, impiegando energie rinnovabili, senza neppure sapere quali.
Alcuni STUDI interessati, poi, iniziano a sostenere che le riserve petrolifere sotterranee mondiali sono in fase di esaurimento e che quindi occorre iniziare a risparmiare energia ed è impellente trovare fonti di energia alternative.
Alcuni paesi scelgono l’opzione nucleare; altri, come l’Italia, la abbandonano lungo la strada.

Poco alla volta emerge un nuovo problema: il clima.
Chi più chi meno, in tutto il mondo, si inizia a percepire che il clima sta cambiando.
Fa più caldo, nelle regioni fredde i ghiacciai perdono volume glaciale, le perturbazioni atmosferiche diventano sempre più frequenti e distruttive.
Si moltiplicano gli studi in materia, e nasce una nuova disciplina: la climatologia.
Professorini disoccupati trovano uno sbocco professionale ben pagato dalle amministrazioni pubbliche in tutto il mondo.
I professorini indagano e scoprono una interessante correlazione tra la temperatura media stagionale sul pianeta e la concentrazione in atmosfera di alcuni gas, anidride carbonica (CO2) in particolare. Rilevano che ad ogni incremento della concentrazione atmosferica di CO2 corrisponde un aumento della temperatura media planetaria.
Hanno trovato l’assassino! Da dove proviene la CO2? Dalla combustione degli idrocarburi.
Il responsabile dei guai climatici planetari è la combustione di idrocarburi.
Le due battaglie si saldano: quella politica contro i monopolisti dell’energia si sposa con quella civile per la salute pubblica. La combustione degli idrocarburi non solo determina il surriscaldamento planetario ed i conseguenti disastri climatici, ma avvelena l’aria, perché alla CO2 si sommano gli altri prodotti della combustione, come le polveri sottili di carbonio, gli ossidi di azoto e di zolfo.

Il nemico è stato individuato; la guerra può iniziare; ed è iniziata …

Oggi sono pochi quelli che, nel mondo della scienza, e mai in quello della politica, denunciano le manipolazioni ideologiche che stanno alla base di questo TEOREMA del disastro planetario determinato dall’impiego dei combustibili fossili.
Ed opporsi non è facile, perché il fumo nero che avvolge la materia è un “fumo ideologico”, non è nerofumo di carbonio.
Occorre invece, ed è sempre più urgente ed irrinunciabile, operare una seria distinzione tra il varo ed il falso, su basi scientifiche.
COSA è vero ?

1. Che la combustione di petrolio e carbone abbia effetti collaterali, per sversamento accidentale di biomasse nei mari, con danni ambientali anche irreversibili, o reversibili su una scala di tempo lunghissima.
2. Che i prodotti della combustione immessi in atmosfera siano potenzialmente nocivi per la salute umana, se assorbiti a dosi elevate e per lungo tempo (tutti, ma non la CO2 !).
3. Che le riserve petrolifere prima o poi si esauriranno, ma non abbiamo elementi attendibili per dire quando; tutte le precedenti previsioni si sono rivelate infondate.
4. Che il pianeta si sia in qualche modo surriscaldato in questa epoca geologica, come ben dimostrato dal calo costante delle masse glaciali e delle nevi estive in alta quota sulle montagne.

E COSA è falso?

1. Che l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera sia determinata soltanto dalla combustione dei prodotti petroliferi, e che tale aumento determini un aumento della temperatura media del pianeta. Infatti è vero il contrario: ad ogni aumento di temperatura degli oceani e delle acque superficiali in genere, corrisponde un rilascio in atmosfera di gas disciolti, TUTTI i gas disciolti nelle acque, tra cui la CO2.
La combustione da un suo contributo, difficilissimo da stimare, ma è solo un contributo.
2. Che la CO2 sia un gas con caratteristiche fisico-chimiche tanto diverse dagli altri gas prevalenti in atmosfera (ossigeno ed azoto rappresentano il 99%) da poter determinare, pur con la sua men che modesta presenza (0,04%) un effetto SERRA di cattura del calore che la terra restituisce allo spazio nelle ore notturne. E’ un FALSO scientifico.
Il solo gas presente in atmosfera con caratteristiche di questo tipo è il vapore d’acqua, e non a caso è questo che determina visibilissime nubi, piogge, nevicate, tempeste e quant’altro.
3. Che il nostro modello di sviluppo economico, vorace consumatore di energia, possa fare a meno dei combustibili fossili, avvalendosi delle sole, poche, fonti di energia rinnovabile che si possono mettere in campo in maniera massiccia (eolico e solare), fonti, anche queste, non prive di ricadute ecologiche negative. E non dimentichiamo che abbiamo triplicato in soli 50 anni la popolazione mondiale di consumatori d’energia, passando da circa 2,5 a circa 7,5 miliardi di umani, senza contare gli animali domestici correlati.

Ed in tutto questo è stato dimenticato qualcosa: quale che sia la fonte di energia, fossile o meno, alla fine di tutti i processi in cui viene impiegata la sua forma finale di trasformazione è: calore ! Tutta l’energia che impieghiamo diventa calore, che viene irradiato verso lo spazio, di notte, in una misura di circa il 30%, assieme a quello ricevuto dal sole, mentre il 70% circa resta a terra, e viene metabolizzato in qualche modo dal pianeta, trasferito agli strati profondi delle terre e delle acque, metabolizzato dalla vegetazione, ecc. Quindi, senza scomodare i gas serra, è evidente che il calore di produzione antropica, DA QUALSIASI FONTE PROVENGA, contribuisce a destabilizzare il clima del pianeta, ma non siamo in grado di sapere in che misura incida sul bilancio energetico globale.

In conclusione, le politiche VERDI che oggi sono tanto in voga ci promettono un impatto materiale pesante sul nostro stile di vita, a prevalente vantaggio di chi riuscirà ad essere tra gli operatori economici di questi cambiamenti.
La loro realizzazione, tuttavia, avrà un esito fallimentare, perché:
1. Le fonti di energia alternative sono e resteranno insufficienti per sostituire la combustione dei prodotti petroliferi.
2. La transizione da unità di produzione di energia localizzate, che fanno uso di combustibili, a quella basata sull’elettricità, che richiede trasmissione a distanza, implica uno sforzo insostenibile sotto il profilo della distribuzione capillare di potenze elettriche rilevanti.
3. L’accumulazione dell’energia elettrica in batterie, quale che sia la tecnologia impiegata, presenta su scala di massa problemi insormontabili di accesso alle materie prime e di smaltimento dei rifiuti.
4. Anche una decarbonizzazione totale non può avere alcun effetto sul clima, a parità di energia consumata, perché la quantità di calore immessa in atmosfera non cambierebbe, e la diminuzione eventuale di CO2 non avrebbe alcuna influenza.

Potrebbe migliorare la qualità dell’aria nei grandi conglomerati urbani; questo è innegabile, ma non cambierebbe con questo in maniera vistosa la mortalità per malattie polmonari, a cui gli inquinanti attuali contribuiscono in maniera limitata e non facilmente stimabile, perché l’aria pulita non distrugge i virus e batteri, che attraverso l’aria raggiungono le nostre vie respiratorie, e la mortalità dipende essenzialmente da loro (Covid insegna), non dalla polvere, che possiamo respirare anche su una spiaggia marina ed in qualsiasi luogo all’aperto dove il vento sollevi la polvere impalpabile ed invisibile del terreno.

La sola SOLUZIONE che, invece, dovrebbe salvare capra e cavoli, si chiama RIFORESTAZIONE massiccia su scala planetaria, perché il mondo vegetale assorbe l’energia termica in eccesso che noi produciamo, consuma la CO2, anche ammesso che abbia un “effetto serra”, e ci offre in abbondanza un materiale da costruzione (il legname) che è un ottimo isolante e quindi aiuta nel risparmio energetico di edifici realizzati col legname. Ma è un “business” che non attira, perché gli alberi ci mettono del tempo a crescere, prima di poter essere sfruttati economicamente, e nel frattempo non producono reddito e, semmai, costano in manutenzione.
E allora avanti con le politiche “green”, aventi con le martellate sui genitali, e che Dio illumini queste generazioni disgraziate, e fra alcuni anni anche disperate.

Ing. Franco Puglia
24 gennaio 2021

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